Attualità

IN GIUSTIZIA – La procura di Caltanissetta e la responsabilità verso il Paese

di Francesco Da Riva Grechi -


La procura di Caltanissetta e la responsabilità verso il Paese

Le indagini sulla strage di via d’Amelio a Palermo, avvenuta domenica 19 luglio 1992, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio) Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, non potranno mai avere una conclusione definitiva. Troppo dolorosa è la ferita inferta, il sangue ed il silenzio degli innocenti non possono, né debbono, mai essere dimenticati. Troppe sono le testimonianze che dimostrano che gli assassini di via d’Amelio sono stati molti e diffusi soprattutto tra i suoi ex colleghi, come del resto avvenne anche nel caso di Giovanni Falcone. Centinaia gli assassini della verità sulla loro vita e la loro morte.

Il comunista Sciascia lo bollò, definendolo “professionista dell’Antimafia” e lo volle alla gogna proprio perché libero e lontano da ogni corrente, e quindi da ogni disciplina di partito, tanto cara ai ridicoli pubblici ministeri di oggi. La notizia è che la Procura di Caltanissetta, competente per territorio sulle vicende dei magistrati di Palermo e quindi sulla strage di via D’Amelio, ha iscritto nel registro degli indagati Gioacchino Natoli, ex PM del pool antimafia di Palermo e già membro del CSM, con le gravi accuse di favoreggiamento alla mafia e calunnia, in concorso con l’ex capo della Procura di Palermo, Pietro Giammanco e con l’allora Capitano della Guardia di Finanza, Stefano Screpanti. Il dottor Natoli era già stato opportunamente sentito in Commissione Antimafia il 23 gennaio scorso e in quella sede era emerso un sicuro “paradosso dei tempi della giustizia” avendo lo stesso pubblico ministero sostenuto che non sarebbe stato possibile parlare del dossier Mafia – Appalti prima del 1996, momento del pentimento di Angelo Siino, creduto allora il Ministro dei Lavori pubblici dei corleonesi di Totò Riina (e della prima sentenza a lui relativa, della Corte d’Appello di Caltanissetta, del 7 aprile 2000), mentre la lettura dei fascicoli e dei rapporti dei Ros dei Carabinieri evidenziano semplicemente che non si era “voluto” indagare, non che non fosse stato possibile farlo. Purtroppo, l’ipotetico ma, in ogni caso, sicuramente principale responsabile di questa anomalia temporale nella gestione dei fascicoli della procura di Palermo non è più su questa terra e non può dare le sue spiegazioni. Il 2 dicembre 2018 si è infatti spento a Palermo l’ex procuratore della Repubblica della stessa città, Pietro Giammanco.

Ormai, grazie al lavoro della Commissione Antimafia di questa legislatura si sta chiarendo molto degli anni 1991-1992-1993 e del sangue che ha cancellato la prima Repubblica per dare vita a questa seconda. La stessa Giorgia Meloni ha confessato in tempi non sospetti quanto la sua vocazione politica, che l’ha portata ad essere oggi una delle più ammirate e solide Premier al mondo, sia frutto delle dolorose ferite di quegli anni. Per questo è vieppiù fastidioso leggere in un verbale della commissione antimafia che era giusto archiviare e cancellare tutte le prove e le ipotesi investigative sul dossier Mafia – Appalti perché, fino al “pentimento” di Angelo Siino (1996), non ci sarebbe stato alcuno spunto sul quale indagare.


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