Attualità

IN LIBRERIA – Il ritorno introspettivo di Rocco Schiavone

di Eleonora Ciaffoloni -


Con Il passato è un morto senza cadavere, quindicesimo capitolo della serie dedicata al vicequestore Rocco Schiavone, Antonio Manzini torna a confrontarsi con un personaggio cult.

Un ritorno che, come spesso accade nelle saghe di lunga durata, divide profondamente: da una parte chi vede in ogni nuovo romanzo un passo in avanti nell’approfondimento psicologico, dall’altra chi percepisce una stanchezza narrativa. In ogni caso, la vicenda prende avvio con la morte misteriosa di un ciclista, Paolo Sanna, uomo facoltoso e sfuggente, privo di legami stabili e con un passato disseminato di fughe, residenze temporanee e rapporti superficiali. L’enigma si complica quando, nella sua abitazione, viene ritrovato un taccuino pieno di nomi e codici indecifrabili: indizi che sembrano rimandare a una vita segreta e a un conto con il passato mai saldato.

Rocco Schiavone intuisce subito che dietro la facciata dell’incidente si nasconde ben altro. Fin qui, è il classico del giallo: un morto enigmatico, un protagonista che indaga e un contorno di personaggi che accompagnano la trama. Ma la forza di questo romanzo sta altrove. Non tanto nel mistero in sé, che potrebbe mostrarsi troppo telegonato, quanto all’evoluzione personale di Rocco. Il vicequestore è un uomo segnato da un passato doloroso, in bilico tra la malinconia della memoria e il desiderio di costruirsi un presente diverso.

In questo romanzo, la dimensione introspettiva è centrale: il tema del passato e della memoria attraversa ogni pagina, incidendo sia sulla vicenda investigativa sia sulla vita privata del protagonista. Il romanzo è corposo – oltre 560 pagine – e questo peso si sente. Alcuni passaggi risultano brillanti, con l’umorismo amaro e l’ironia che hanno sempre contraddistinto Schiavone; altri, invece, paiono rallentare eccessivamente, incastrati in dialoghi o digressioni che non aggiungono molto.

Lo stesso protagonista rischia qui di diventare retorico e segnato da una malinconia talvolta pesante. Non mancano, comunque, elementi di valore. La scrittura di Manzini resta scorrevole, vivace, capace di alternare registri e di restituire la coralità della squadra di Aosta, che nel tempo si è guadagnata un posto nel cuore di chi segue la serie. Alcuni personaggi secondari continuano a funzionare – basti pensare a Michela Gambino – e certe scene strappano ancora sorrisi autentici. Anche il simbolismo sottile, come quello legato alla macchina del caffè o alle abitudini quotidiane in questura, restituisce un senso di continuità affettiva che i lettori di lungo corso sanno riconoscere.

Il passato è un morto senza cadavere, per chi è rimasto fedele alla saga, rappresenta un capitolo solido, capace di unire giallo, introspezione e ironia, con il tema del passato che si intreccia efficacemente alla trama investigativa.


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