Esteri

“In Serbia e Kosovo serve fare subito qualcosa, oppure rischiamo un nuovo conflitto”

di Domenico Pecile -

TONI CAPUOZZO GIORNALISTA


Ucraina, ma anche il Kosovo e a ruota la Bosnia. Sono i possibili nuovi scenari di guerra in Europa. Toni Capuozzo, noto giornalista e inviato di guerra, in questa intervista spiega come l’Europa e la Nato non dovrebbero ripetere altri errori per scongiurare una nuova mattanza nei Balcani. Partendo dal Kosovo.
In Ucraina si spara da oltre 300 giorni. E in Kosovo è di nuovo tensione tra kosovari e minoranza serba, tanto che diversi osservatori non escludono un’escalation militare. I venti di guerra rischiano di incendiare nuovamente la regione balcanica?
Si, credo il pericolo è reale. Ed è proprio la guerra in Ucraina che sta facendo da detonatore su altri, possibili teatri di guerra.
E questo perché?
Sono dell’avviso che la guerra in Ucraina durerà molto a lungo, probabilmente anni. Del resto, è semplicistico affermare – come ripete ad esempio Biden – che è sufficiente che la Russia si ritiri per arrivare alla pace.
Mi sta dicendo che si rischia la vietnamizzazione del conflitto?
Una cosa del genere, anche se, a parti rovesciate, non vedo la Russia nei panni dell’America e cioè perdente, così come non vedo affinità tra l’esercito ucraino e i vietcong. Ma tornando a prima, credo che la guerra in Ucraina rappresenti un punto di destabilizzazione complessiva.
Quella cui assistiamo in queste ultime settimane anche in Kosovo?
Sì, e non soltanto in Kosovo e nei Balcani in genere, perché nuove tensioni si registrano tra Corea del Nord contro Corea del Sud e Giappone. La guerra in Ucraina sta insomma facendo da detonatore e dunque tutti vogliono regolare i conti, come accade in Kosovo e come potrebbe accadere anche in Bosnia.
Una sorta di pericolosissimo contagio?
Certamente, la guerra in Ucraina sta provocando i suoi effetti allo stesso modo in cui si era diffusa la pandemia da Covid19.
In Kosovo quale potrebbe essere il punto di non ritorno?
Il problema vero è che anche a distanza di anni, tutti i nodi ritornano al pettine. Se ti ricordi, nella guerra civile dei Balcani erano stati rispolverati nomi di milizie della seconda guerra mondiale, come i cetnici e gli ustascia. E così i conti da regolare sono rimasti per anni in soffitta.
Anche dopo la morte di Tito che ha fatto scatenare la guerra tra il 1991 e il 2001, causando la dissoluzione di questo stato?
Certo, perché – come dicevo – si tratta di conti non regolati che la guerra fredda aveva per così dire ibernato. E il disgelo dopo la caduta del muro ha incendiato quegli Stati alle prese con storiche rivalità.
Cosa succederà adesso in Kosovo, secondo te?
Molto dipenderà anche dal ruolo che giocheranno l’Europa e la Nato, le cui contraddizioni in questo caso sono palesi. In Ucraina stiamo dalla parte di chi reprime le istanze autonomiste e di autodeterminazione delle minoranze mentre in Kosovo siamo andati a bombardare per favorire l’indipendenza. Insomma, mi devono spiegare se esiste una secessione buona e una cattiva.
Quindi intravedi all’orizzonte altre disgregazioni degli Stati nazionali in Europa?
L’unità nazionale che poi è anche unità multinazionale è un totem spesso fallimentare. Io resto dell’idea che popoli che non vanno d’accordo per mille ragioni storico-culturali o di etnia non possono vivere assieme. Spiegami tu come fai a far convivere kosovari e minoranze serbe oppure come possono convivere assieme bosniaci, croati e serbi in Bosnia.
In quest’ottica si tratta di una strada pericolosissima che pare destina a sfociare in una nuova mattanza. O no?
Potrebbe essere anche se, fortunatamente, c’è un deterrente legato a una certa stanchezza per le guerre. Ma purtroppo giova ripetere che tanti problemi non sono stati risolti e che dunque il fuoco arde ancora sotto la cenere. Vivere assieme in certe zone come i Balcani ha funzionato nel corso della seconda guerra mondiale.
Ma secondo te c’è una via d’uscita che possa scongiurare il ricorso alle armi e un’altra guerra e mi riferisco nella fattispecie al Kosovo?
Certo, una soluzione si può e si dovrebbe sempre trovare. Basterebbe cioè riconoscere l’autonomia della fascia serba. Non dimentichiamo ad esempio che i monasteri che fanno parte dei quattro monumenti sulla lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco, tutti serbo-ortodossi, sono tuttora difesi dai militari italiani.
Dimmi la verità, sei pessimista sulla possibilità di uscire dalle tensioni belliche in Kosovo in maniera pacifica?
Si, sono pessimista. Ma il problema vero è che l’Ue è convinta di imporre lezioni morali e più fa propri comportamenti ragionieristici. Si sarebbe dovuto promuovere l’ingresso in Europa di alcuni di questi Stati e poi abbiamo scoperto che era più facile l’ingresso nella Nato che in Europa. L’altro problema è che ci siam o illusi.
Illusi rispetto a che cosa?
Ci siamo illusi che le paci imposte possano funzionare. Invece… Hai presente la leggenda metropolitana di quei miliardari affetti da una grave malattia che decidono di farsi ibernare per farsi risvegliare quando la scienza avrà scoperto l’antidoto al loro male? Ecco, è una metafora un po’ forzata ma è quanto abbiamo assistito sia in Bosnia sia in Kosovo. E a proposto del Kosovo posso ricordare una cosa che ritengo bizzarra e che comunque è legata alla vicenda della pace imposta?
Prego, anzi.
Il Kosovo è l’unico Paese al mondo in cui è stato realizzato un monumento a un presidente ancora in vita. Ed è quello di Clinton. E tornando all’attuale situazione credo che i kosovari abbiano il pieno diritto ad ambire alla loro indipendenza senza però governare sulla comunità serba usando la forza della propria sovranità perché sarebbe, anzi, è una prepotenza.
Torniamo alla possibilità di individuare la strada per arrivare in Kosovo a una pace preventiva in grado di stoppare per tempo l’escalation delle armi. Dipendesse da te cosa suggeriresti?
Ti ricordi la questione degli altoatesini? Lo Stato italiano ha sconfitto le forze separatiste che spesso avevano imboccato la strada del terrorismo barattando la loro pace con la concessione di benefici e di franchigie che tutte le altre minoranze italiane se le sognano. Come dire che la pace alle volte si deve anche comperare. Del resto credo non ci siano dubbi sul fatto che è preferibile comperare la pace piuttosto che la guerra.
Realpolitik?
Perché no, ma chiamiamolo semplicemente anche buon senso.

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