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In UE si stringe la cinghia

di Giovanni Mauro -


L’Europa stringe la cinghia. Il commercio al dettaglio crolla in tutto il Vecchio Continente, i dati Eurostat sono tremendi e restituiscono l’immagine plastica di una crisi che sta mettendo radici. I numeri degli analisti non mentono: a dicembre le vendite sono scese del 2,7 per cento rispetto al mese precedente quando, a fronte di un altro calo (a ottobre era stato di un punto e mezzo percentuale) si era registrato un timido rialzo dell’1,2%. Il trend annuale è nerissimo: -2,8%, dato ancora peggiore rispetto alla media registratasi a novembre, pari a -2,5%. Nessun settore s’è salvato dal tracollo generale. I dati peggiori, secondo le rilevazioni Eurostat, si sono avuti nel comparto degli alimentari. Le vendite di cibo, bevande e tabacchi sono calate del 2,9 per cento.
I numeri della rilevazione statistica sono risultati peggiori del consensus, cioè della media delle attese. Va peggio del previsto, dunque. E la prospettiva non sembra essere rosea per il futuro, almeno per l’immediato. S’è avverata, infatti, l’ipotesi più temuta dalle imprese e, in generale, dagli osservatori. Le famiglie, non solo in Italia ma in tutta Europa, hanno iniziato a limitare i consumi. Si attende un avvitamento che potrà avere effetti su tutta l’economia. Insomma, si è innescata una spirale pericolosissima, a breve termine, per le imprese e, dunque, per le famiglie stesse.

A mandare ko l’economia europea è stato il micidiale uno-due che ha caratterizzato il 2022 e che avrà pesanti strascichi anche quest’anno. Da un lato, l’inflazione – schizzata alle stelle – a causa della crisi energetica deflagrata con il conflitto tra Russia e Ucraina. Dall’altro, le scelte rigoriste della Bce che ha deciso di portare i tassi oltre il 3 per cento e che, presto, potrebbe addirittura scegliere di aumentare il costo del denaro a livelli così alti (attorno al 4%) che non si registravano dal 2007. La situazione è grave in ogni angolo d’Europa. Persino nell’opulenta Germania, le vendite al dettaglio vacillano. Secondo Destatis, l’ufficio federale di statistica, nel 2022 il fatturato reale, corretto per i prezzi delle imprese di commercio al dettaglio, è stato inferiore dello 0,6%. Il segno più c’è solo se si prende in considerazione il fatturato nominale che, l’anno scorso, è cresciuto del 7,8%. Ciò, però, solo per effetto dell’impennata dei costi dovuta all’inflazione. È drammatico lo iato tra primo e secondo semestre del 2022. Uno spartiacque, vero e proprio. Nei primi sei mesi dell’anno scorso, la rincorsa tedesca al recupero del terreno perduto a causa del Covid procedeva a gonfie vele e le vendite erano aumentate del 3,1% rispetto a un anno prima. Poi è arrivata la guerra e, con essa, la dèbacle: gli affari, nella seconda metà dell’anno, si sono depressi per oltre il quattro per cento. Per la precisione, le vendite si sono ridimensionate del 4,1%. Certo, il punto di partenza era la ripresa ma l’aumento delle bollette, dell’energia e dei beni alimentari di consumo ha fatto esplodere la bolla fin troppo presto. In Italia la situazione non è certo migliore. Nelle scorse settimane, Confesercenti ha denunciato che per i piccoli negozi il fatturato, in media, è sceso del 6 per cento. Ma il peggio deve ancora venire. Già, perché secondo la confederazione, gli italiani hanno già intaccato le loro riserve di risparmi. “Inflazione e bollette hanno determinato – ha sottolineato Confesercenti – una flessione dei volumi di vendita, le famiglie hanno speso di più per una quantità di beni che diminuisce. Il 2023 si prospetta difficile e le famiglie hanno quasi terminato le scorte di risparmi con le quali hanno finora sostenuto gli acquisti, mentre proseguono le incertezze sul mercato delle materie prime alimentari”.

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