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India, splendori e miserie nell’era del gender: ai trans il congedo mestruale, alle donne l’isteroctomia

Zomato, azienda multinazionale indiana con sedi in 24 Paesi (tra i quali l’Italia), conta ben 4.000 dipendenti.

di Ilaria Paoletti -


Il 35% della sua forza lavoro è composta da donne e adesso riconosce non solo l’esistenza della dismenorrea, ma consente alle sue dipendenti che ne soffrono di utilizzare dieci giorni di congedo retribuito all’anno. Il Ceo della società, Deepinder Goyal, ha spiegato che l’azienda intende “favorire una cultura basata sulla fiducia, la verità e l’accettazione”. C’è però un dettaglio che desta qualche perplessità: ad usufruire di tali permessi, infatti, potranno essere anche le persone transgender. Ovvero individui che, seppur avendo affrontato una piena transizione, non sono in possesso dei requisiti fisici che li costringano a subire i dolori del ciclo mestruale. C’è quindi chi potrà approfittare di una conquista femminile “sfruttando” un dolore fantasma. Visto che l’azienda opera anche in Italia, questa stortura burocratica a tinte gender potrebbe approdare qui da noi. D’altronde, questa è la direzione in cui va il mondo: è più importante chi si identifica come donna delle donne stesse. Già, perché nel frattempo, in India, patria della multinazionale “illuminata” Zomato, il 36% delle lavoratrici agricole impiegate nel distretto di Beed, principale zona di produzione dello zucchero di canna, sono costrette a ricorrere all’isterectomia per poter lavorare in condizioni ai limiti della schiavitù. Questo crudo scenario viene descritto da un reportage dell’emittente France Télévisions. Il documentario racconta come, generalmente, nella zona del Beed le donne vengano reclutate dai mukadam, agenti pagati dai proprietari delle piantagioni di canna da zucchero. Questi uomini si occupano di convogliare in loco intere famiglie di lavoratori, tra i quali spesso vi sono bambini di appena dieci anni. Sono sempre questi “reclutatori”, infine, a suggerire alle ragazze e alle donne di procedere a un’isterectomia totale, con ablazione delle ovaie, per eliminare dolori mestruali e problemi legati al parto. “Se non tolgono l’utero, è un problema per noi, sono meno produttive. E se hanno un cancro, non servono più a nulla” riferisce alla tv francese uno di essi, Jyotiram Andhale. Il costo dell’intervento è a carico delle poverette e, durante il ricovero e la convalescenza, non vengono pagate. “Il mukadam ci urla addosso se non lavoriamo abbastanza. Ci picchia molto forte, anche quando stiamo male – racconta una delle donne alla tv francese, – grida ai nostri mariti che non lavoriamo sodo e che dovremo rimborsare lo stipendio”. Uno scenario agghiacciante che marca ancora una volta la differenza tra i diritti reali e i diritti inventati.


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