Economia

Indipendenza energetica, le spine dell’Europa

Un piano da 195 miliardi ma resta il nodo infrastrutture

di Alessio Gallicola -


La Commissione europea è pronta a svelare un piano da 195 miliardi di euro che comprende le azioni necessarie a garantire l’indipendenza energetica ai Paesi membri. Domani dovrebbe essere il giorno giusto per il varo del documento, fondato su una strategia in tre ambiti: incremento delle fonti rinnovabili, abbassamento della soglia dei consumi, ricerca di fornitori alternativi affidabili. Ma il piano segnerà anche un tentativo da parte di Bruxelles di unire le infrastrutture energetiche dell’Ue in modo più coeso, eliminando le strozzature e ponendo fine ai ritardi di progetti che caratterizzano la situazione attuale nel continente.
In realtà sembra proprio questo il problema principale. Le carenze nelle infrastrutture fisiche lasciano alcuni Stati membri dell’Ue altamente vulnerabili in caso di stop alle forniture russe. Le preoccupazioni in Ungheria, il cui petrolio proviene interamente dalla Russia, stanno ancora frenando i tentativi dell’Ue di introdurre gradualmente un embargo su tutto il greggio russo. “In caso di assenza di gas russo, i Paesi occidentali non possono fornire gas aggiuntivo a quelli dell’Europa orientale, poiché ci sono capacità limitate in quella direzione”, è la sentenza della Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione del gas in un recente rapporto, che certamente non solleverà gli animi del governo di Orban.
In tutta Europa abbondano gli esempi di punti deboli e lacune infrastrutturali. “Se avessimo realizzato le necessarie interconnessioni quando sono state concordate, l’Europa non sarebbe ora in questa situazione di dipendenza”, è il cavallo di battaglia del primo ministro portoghese António Costa, che lo aveva ribadito a Italia, Spagna e Grecia durante il vertice a Roma dello scorso marzo.
Intanto le sanzioni alla Russia e il blocco del Covid in Cina hanno ridotto i volumi di merci a Rotterdam, il porto marittimo più trafficato d’Europa. Ma un carico è in forte espansione: il gas naturale liquefatto. L’importazione di più Gnl è una priorità per la riduzione della dipendenza, anche se attualmente il terminal Gnl di Rotterdam è al completo e il lavoro di espansione in corso non sarà rapido.

Nel frattempo, a 1.500 km di distanza, la Spagna ha un diverso problema di capacità. Il Paese ha più che sufficienti terminali Gnl, ciò che manca sono i gasdotti per portare il gas ai mercati che ne hanno bisogno nell’Europa centrale. “La Spagna vorrebbe importare e contribuire alla sicurezza dell’Europa. Ci piacerebbe mandare benzina in Romania, ma come possiamo se non arriva nemmeno al confine con la Francia?”, si chiede Gonzalo Escribano, direttore del programma energia e cambiamento climatico presso l’Elcano Royal Institute di Madrid. “Abbiamo meno collegamenti gas con la Francia che con l’Algeria”. In realtà un piano per costruire un altro collegamento con la Francia, il gasdotto Midcat, ci sarebbe ma è fermo da anni, pare per volontà politica del governo transalpino, che non vuole rinunciare alla sua quota di esportazioni di energia nucleare.
Il vero anello debole della catena resta, però, la Germania, che non ha ancora terminali Gnl ed è uno dei paesi più dipendenti dal gas russo. Paradossalmente sarebbe anche una porta d’ingresso naturale per altri Paesi europei senza sbocco sul mare per ottenere il gas liquefatto, per questo il governo tedesco ha provveduto a noleggiare quattro navi per la rigassificazione, alcune delle quali dovrebbero essere operative entro la fine dell’anno. Tempi lunghi, invece, per il completamento delle strutture convenzionali a terra, che si prevede non prima del 2025.


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