Economia

Inflazione o recessione

di Giovanni Vasso -

URSULA VON DER LEYEN COMMISSIONE UE CHRISTINE LAGARDE BCE


Lo scrittore francese Jean Cau la faceva semplice. Ci sono mille modi di suicidarsi, scriveva l’ex segretario di Jean Paul Sartre: Balzac scelse il caffè, Verlaine l’assenzio, Rimbaud l’Etiopia e, parafrasandolo, ora l’Occidente, che Cau già dava per morto di democrazia, dovrà scegliere se morire di inflazione o di recessione. Europa e Stati Uniti sono sulla corda. Appesi a un filo. Quello delle scelte: Fed e Bce dovranno decidere se dare un attimo di respiro alla corsa rialzista dei tassi o se stringere, ancora di più, il cappio anti-inflazione. Le previsioni sembrano a senso unico: il costo del denaro salirà ancora, dello 0,25. In America, persino i democratici si sono mossi. Hanno chiesto, con grande umiltà e con somma urgenza, agli economisti centrali attorno al governatore Jerome Powell di astenersi, per una volta, dall’aumentare i tassi. Gli americani hanno già visto cosa accade a tirare troppo la corda dei tassi. Le banche falliscono perché, come accaduto a Silicon Valley Bank, il Tesoro Usa rischia di non poter pagare le proprie obbligazioni. Il crac, per il momento, è stato (più o meno…) circoscritto alle banche regionali. Per i lupi di Wall Street, tutto sommato, non è stato nemmeno un problema chissà quanto grande: First Republic Bank, ormai azzerata, derelitta e lasciata a fallire dalla Casa Bianca, è stata acquistata per un tozzo di pane da Jp Morgan. La tensione, alle stelle, si è riverberata anche sul dollaro che, rispetto all’euro, ha continuato a perdere valore. Fino alla decisione della Fed: +0,25, decimo rialzo consecutivo, fed funds al 5-5,25%. Mai così in alto da sedici anni a questa parte. Se negli Usa c’è qualcuno che tenta di aprire una discussione, in Europa si parla poco. I falchi non hanno nessun dubbio. La decisione di Christine, più che un dilemma, appare una formalità: Lagarde e i suoi alzeranno (almeno) di un altro quarto di punto il costo del denaro. Nel silenzio-assenso delle istituzioni comunitarie e nella disperazione delle poche colombe rimaste che, come i giapponesi nella giungla del buonsenso, tentano di far rinsavire il plenum di Francoforte. Qualche avvisaglia di quello che potrà accadere, in Europa, c’è già stata. Oltre a Credit Suisse, ci sono state le fortissime fibrillazioni patite, qualche settimana fa, da Deutsche Bank. I dati statistici ed economici, poi, confermano i dubbi sull’effettiva efficacia della strategia. Eurostat, due giorni fa, ha rilevato un leggero aumento dell’inflazione: +0,1% nell’Ue, +0,7% nell’area euro, che portano il tasso annuo al 7%. L’Istat, inoltre, ha rilevato un aumento dell’inflazione anche in Italia. Dopo mesi di raffreddamento, i prezzi sono tornati a salire. Mezzo punto in più ad aprile per una proiezione annuale valutata all’8,3%. I prezzi aumentano, spinti dagli aumenti dei beni energetici. A fronte di questi risultati, non certo esaltanti, il costo da pagare è stato già salatissimo. Lo ha certificato S&P Global secondo cui l’indice del settore manifatturiero dell’Eurozona, ad aprile, è calato a 45,8 punti rispetto ai 47,3 di marzo. È il decimo mese di contrazione consecutivo. Per gli analisti si tratta del “peggioramento più veloce delle condizioni del settore da maggio 2020, durante la prima ondata di misure restrittive da Covid-19”. Secondo Cyrus de la Rubia, capo economista di Hamburg Commercial Bank: “Gli indici pmi nazionali della Francia e dell’Italia hanno segnalato una contrazione dell’attività, mentre in Germania e Spagna è stata riportata una quasi stagnazione”. Nel nostro Paese, la situazione è ancora più allarmante: “L’economia manifatturiera dell’Italia ha subito un aprile impegnativo, con le condizioni operative in peggioramento per la prima volta durante il 2023, e al tasso maggiore dallo scorso ottobre”, spiega una nota di S&P: “Sia la produzione che i nuovi ordini sono diminuiti da marzo, mentre l’attività di acquisto è stata ridimensionata notevolmente in quanto le aziende si sono concentrate sulla politica di riduzione dei magazzini. Detto questo, la crescita del livello occupazionale è stata sostenuta, e le prospettive per il futuro sono rimaste positive. I prezzi di acquisto sono crollati notevolmente e i tempi medi di consegna hanno riportato il miglioramento più significativo dall’apice della crisi finanziaria del 2009”.
Insomma, la Bce dovrà decidere se alzare ancora di più i tassi o proclamare una tregua. I segnali però sembrano univoci. Tutti gli osservatori, da Ubs agli analisti finanziari internazionali, sono convinti che Christine Lagarde alzerà di (almeno) 0,25 punti i tassi. Tutti gli occhi sono dunque puntati alla riunione di oggi. In cui l’Europa, tanto la Bce quanto la Ue, sceglieranno, invece dell’assenzio, del caffé o dell’Etiopia di Rimbaud, la via della recessione. Come gli Usa. Ma in nome del rigore, dell’austerità, dei tassi.

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