Attualità

Intelligence e vendetta istituzionale

di Andrea Vento -


La prassi della “vendetta pubblica”, o istituzionale, finalizzata a eliminare o recuperare, anche all’estero, i nemici dello Stato è molto antica e si tratta di una forma di “giustizia vendicatoria”. Questa pratica implica l’uso della forza per perseguire e punire coloro che sono considerati nemici o responsabili di atti contro lo Stato. Non solo: essa è sovente praticata da dittature che addestrano vere e proprie unità di sicari per l’eliminazione degli avversari, ma anche da alcune democrazie che, per incutere rispetto, se ne avvalgono, sia con modi leciti ed aperti, ad esempio mediante procedure di estradizione, sia per mezzo dei servizi di intelligence, e quindi con operazioni coperte. L’obiettivo principale è quello di punire i colpevoli di un delitto e ristabilire l’ordine e la sicurezza, ma vi sono obiettivi accessori: come eliminare gli oppositori politici, o ancora comunicare quanto possa essere implacabile la vendetta pubblica. Come accennato i metodi utilizzati possono essere azioni militari, operazioni di intelligence, o procedure legali per catturare e processare i nemici dello Stato. Al di là del “Terrore” statale che alcuni regimi incutono, la legittimazione nella cultura occidentale e democratica può essere morale o legale, come l’estensione del concetto di protezione della sovranità nazionale e di difesa dei cittadini. Nell’uso di questi strumenti di intelligence occorre avere la capacità predittiva dei rischi da escalation e destabilizzazione diplomatica, o ancora di violazione dei diritti umani.
La carrellata di esempi storici è pressoché infinita e ci limiteremo ad esplorare i regimi democratici o comunque pluralistici: si pensi all’antica e democratica Atene che procurò morte violenta o indusse al suicidio in esilio suoi ex leader come Temistocle (460 a.C.), Alcibiade (404 a.C.), Demostene (322 a.C.), o a Roma che, in età repubblicana, non mancò di perseguitare i nemici. È il caso del suicidio in Bitinia del cartaginese Annibale per evitare la cattura da parte dei legionari (183 a.C.), o quello dell’epopea di Giugurta re di Numidia, conclusasi con la sua cattura e, portato a Roma, col suo strangolamento (104 a.C.). Potremmo procedere fino ai giorni nostri osservando che molti Paesi hanno vere e proprie unità che assolvono a tali funzioni, scaturenti dall’ambito delle forze speciali, o dei contractor privati o ancora da veri e propri accordi con la criminalità organizzata.
Vediamo come vanno le cose in Italia: inesistente appare l’attività delle operazioni coperte all’estero. Ciò potrebbe essere dovuto al nostro status di perdenti della Seconda Guerra Mondiale, o al trauma derivante da alcune attività compiute durante il ventennio: si pensi alla eliminazione in Francia dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, oppositori del regime, trucidati nel 1937 da sicari francesi su mandato del SIM italiano. Analoga tragica sorte riguardò la giornalista Lea Schiavi, eliminata nel 1942 in Iran, su ordine del nostro controspionaggio, per probabile intelligenza con il nemico britannico. In una democrazia abbastanza compiuta come la nostra si è quindi preferito evitare azioni coperte. Per questo rimangono ancora oggi e a distanza di decenni numerosi terroristi italiani, di sinistra e di destra, rifugiati all’estero e sfuggiti alla giustizia.
Nelle operazioni coperte appaiono più dinamiche le intelligence britannica e francese, ma sono certo gli Stati Uniti, tra le potenze democratiche, ad averne maggiore familiarità: nel contesto dell’intelligence, un’operazione coperta (covert operation) si riferisce a un’attività segreta volta a cambiare alcune condizioni in uno stato estero.

Intelligence, come funziona il “Lupo” ucraino – L’Identità


Torna alle notizie in home