Dossier Ai

L’intelligenza artificiale ucciderà il posto fisso

di Giovanni Vasso -


L’intelligenza artificiale potrebbe uccidere il posto fisso. La rivoluzione dell’Ai impatterà, in maniera pesante, sul lavoro. E questo lo sapevamo già. La novità è che pure l’ultimo feticcio, il posto nella pubblica amministrazione, rischia di finire stritolato dall’algoritmo. I risultati della ricerca presentata, ieri mattina, da Fpa al Forum della Pubblica amministrazione parlano fin troppo chiaro: il 57 per cento dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici svolgono mansioni che potrebbero essere benissimo rimpiazzate dall’Ai. O, per dirla in termini più politicamente corretti, poco meno di 1,8 milioni di lavoratori sono “altamente esposti” all’impatto che l’intelligenza artificiale potrebbe avere sul mondo del lavoro pubblico. E, in particolare, tra di loro ci sono quelli che ricoprono i ruoli più ambiti: dirigenti, ruoli direttivi, tecnici, ricercatori, insegnanti, legali, architetti, ingegneri, professionisti sanitari e assistenti amministrativi. Così come i robot e l’automazione hanno sostituito gli operai in fabbrica, l’Ai farà strage di colletti bianchi. Anche nel pubblico. Dove, però, si vive un paradosso: di lavoratori, tra turnover mancati e pensionamenti, ce ne sono sempre di meno. Al punto che il Pnrr è quasi naufragato con la scelta, da parte dei governi precedenti a quello guidato da Meloni, di affidarne buona parte della realizzazione a Comuni ed enti locali. L’intelligenza artificiale può uccidere il posto fisso. Che, in questi anni, non ha fatto altro che seviziarsi da solo. Al punto che i giovani qualificati, a cui venivano offerti contratti capestro se non proprio da stage, hanno iniziato a snobbare quello che, fino a un pugno di anni fa, era il sogno condiviso di un Paese intero, Checco Zalone docet. Un problema alla volta, però.

Il ministro alla Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo non teme il futuro: “Dobbiamo vivere questa epoca di cambiamento non con lo spettro e la paura della perdita dei posti di lavoro ma invece con l’obiettivo di rendere l’innovazione tecnologica compatibile con i nostri piani di sviluppo”. E dunque: “Sicuramente la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stanno determinando profondi cambiamenti al nostro modo di lavorare, ci sono mestieri che muoiono ma al tempo stesso ci sono nuovi mestieri che nascono”. Quindi il ministro vede il bicchiere mezzo pieno di anni di disastrosa e draconiana spending review: “Non mi preoccupo della perdita di posti di lavoro e in più consideriamo che il rapporto tra dipendenti pubblici e residenti in Italia è un rapporto che ci vede nelle posizioni di retroguardia rispetto agli altri paesi europei: quindi non c’è un problema di quantità”. Abbiamo già dato, in fatto di licenziamenti e ridimensionamenti. Almeno in qualcosa, rispetto ai partner Ue, siamo avanti.

Se nel pubblico i rischi ci sono, nonostante le rassicurazioni del ministro Zangrillo, figuriamoci quel che potrà accadere nell’ambito del lavoro privato. Ci pensa Ey a fornire un indizio su come andranno le cose: “L’85% dei Ceo italiani punta a migliorare le capacità tecnologiche e di innovazione nei prossimi 12 mesi”. In pole position ci sono gli investimenti da effettuare nella cybersecurity, ambito in cui il nostro sistema ancora arranca. Secondo Stefano Battista, Financial Services Leader di EY in Italia: “Se il 77 per cento degli intervistati dichiara che le iniziative di sostenibilità sono già parte integrante delle priorità di investimento aziendale, il principale ambito di sviluppo è quello legato all’innovazione e alle tecnologie. Particolare attenzione viene posta all’intelligenza artificiale e alle sue applicazioni, considerate dal 73% dei manager una forza positiva e un potenziale punto di svolta nei processi di trasformazione del business e dell’operatività aziendale”. Dichiarazioni che fanno il paio con quelle del collega Donato Ferri, Managing Partner Ey Consulting Europe West, secondo cui “l’intelligenza artificiale, secondo i nostri studi, cambierà il paradigma dell’80% delle professioni attuali nell’arco dei prossimi cinque anni”. Tuttavia, Ferri vede rosa: “Questa nuova tecnologia oltre a essere una grande opportunità di crescita economica per il nostro paese, che può consentire all’Italia di raggiungere circa il 7 e l’8% del pil, come valore dell’economia dei dati, è anche un’opportunità per cambiare le skills e le competenze che serviranno ai giovani per poter operare nel mondo del lavoro futuro”.


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