Intervista a Giulio Centemero: oltre l’inchiesta, il fallimento del “Modello Milano”
“Manca programmazione e visione, Milano deve tornare ad essere una città per tutti”. Queste le parole di Giulio Centemero, capogruppo della Lega in Commissione Finanze e da poco presidente dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, che ha pubblicato Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global city, un testo breve ma lucido, frutto di un anno di lavoro e del confronto con un piccolo think tank, il “Sandwich Club”. Ottanta pagine che rappresentano una sorta di osservatorio sulla trasformazione delle grandi metropoli, in particolare Milano, oggi al centro del dibattito e dell’inchiesta giudiziaria.
Il libro sembra anticipare quello che poi è esploso in questi giorni. C’erano già i segnali?
“Sì. La ’malagestione’, come la definisco, non riguarda il merito dell’inchiesta – su cui, da garantista, non entro – ma l’incapacità di affrontare tendenze globali ben note. A Los Angeles, New York, Berlino, Londra, Parigi si sono già visti gli stessi effetti: gentrificazione, rincari, disuguaglianze. Bastava osservarli per capire cosa sarebbe successo anche a Milano. Il problema è che non è stata data una visione alla città. Anzi, sembra quasi che si sia scelto deliberatamente di riservare il centro ai ricchi”.
C’è anche Beppe Sala al centro dell’inchiesta, ma il sindaco non si è dimesso. Lei cosa ne pensa?
“Non ci si dimette per un’inchiesta. È giusto che la giustizia faccia il suo corso. Il punto, però, è un altro: già dall’inizio del secondo mandato – e forse anche prima – era evidente che Sala non aveva più voglia di fare il sindaco. A mio avviso dovrebbe cedere il passo, ma per ragioni politiche e amministrative. Sta semplicemente non gestendo la città”.
In che senso “non gestendo”? Quali sono mancanze più gravi?
“Innanzitutto nella gestione del territorio. La gentrificazione ha spinto in alto i prezzi di tutto, non solo degli immobili. Nel libro parlo del Cantillon Effect: grandi investimenti in real estate che trascinano con sé l’intero costo della vita, dalla spesa quotidiana al caffè al bar. A questo si aggiunge la totale assenza di politiche pubbliche per mitigare gli effetti: niente investimenti seri su case popolari, su social housing, su alloggi accessibili anche in zone centrali. Ma non solo, anche sui trasporti si è fermi. Centro e periferia restano due mondi separati. L’ultima grande infrastruttura – la metro blu – risale a progettualità antecedenti al sindaco Pisapia. Da allora, niente. Manca programmazione, manca visione”.
Cosa servirebbe oggi a Milano? Oltre che un nuovo sindaco…
“La città deve andare avanti. Intanto bisogna ascoltare i cittadini coinvolti in queste vicende urbanistiche – come il comitato Famiglie sospese – e trovare soluzioni, anche solo temporanee. Poi bisogna ripensare il modello delle grandi città. La burocrazia è lenta, non riesce a reggere la velocità degli investimenti. Servono strumenti flessibili, come ad esempio i sandbox regolamentari che abbiamo già applicato con successo nel FinTech. Anche sul fronte dell’abitare, bisogna intervenire con strumenti concreti. Oggi vivere a Milano è così costoso che iscrivere i figli a una scuola privata non è più una scelta educativa, ma una necessità. I docenti della scuola pubblica se ne vanno perché non riescono a sostenere i costi della città. Servono alloggi per loro, magari gestiti da enti locali, quasi come se fosse un bonus. E vanno offerte soluzioni abitative anche per la classe media nelle zone più costose, come avviene a Londra con le council houses nei quartieri bene. È l’unico modo per contenere l’aumento dei prezzi e restituire equilibrio”.
Milano ora è una città per ricchi: si può trasformare?
“Milano deve tornare ad essere una città per tutti. Per le famiglie, per i giovani, per gli anziani, per le persone sole, e anche per i super ricchi – ma non solo per loro. Serve una città viva, che comunichi tra le sue parti, che torni a essere a misura d’uomo, ma soprattutto a misura di cittadino”.
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