Sport

INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL CIP GIUNIO DE SANCTIS

di Laura Tecce -


Sport e inclusione, la sfida di Giunio De Sanctis: “L’Italia paralimpica modello per il mondo”

Quarant’anni, una vita. Una vita dedicata allo sport quella di Giunio De Sanctis, da tre mesi alla guida del Comitato italiano paralimpico ma da ben quattro decenni in questo mondo, dai primordi – quando la federazione era associata ma non ancora riconosciuta dal Coni e comprendeva soltanto due disabilità, quella fisica e quella mentale, fino ad arrivare all’attuale assetto di Ente pubblico autonomo per lo sport praticato da persone con disabilità. Un percorso lungo ed emozionante, ma non privo di sfide, e nell’ufficio del neo presidente una carrellata di foto e cimeli vari a testimoniarlo. “In questi anni abbiamo assistito ad un cambio di paradigma culturale pazzesco – riconosce De Sanctis gli esordi non sono stati semplicissimi, c’erano molti pregiudizi ed eravamo davvero lontani da quelle che sono oggi le caratteristiche di un’organizzazione culturalmente avanzata. Non ancora al passo con i Paesi anglosassoni e con quelli europei più sensibili al tema delle disabilità ma che in ogni caso, grazie alle Paralimpiadi e alla loro equiparazione alle Olimpiadi e alla presenza di grandi atleti come Alex Zanardi, Bebe Vio, Francesca Porcellato, Martina Caironi, può oggi fare da apripista per tutti gli altri movimenti nazionali, perché solo in Italia il Cip è un ente di diritto pubblico. Noi oggi rappresentiamo un modello da seguire”.

Milano-Cortina 2026 un grande evento non solo per lo sport ma per l’intera società. Qual è il significato più profondo di questo appuntamento per il movimento paralimpico italiano?

“Olimpiadi e Paralimpiadi nel corso della storia non si sono svolte sempre insieme: il legame tra i due eventi è diventato più forte e organizzato con i Giochi di Seoul 1988 e Albertville 1992 per poi essere formalizzato con l’accordo tra il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) e il Comitato Paralimpico Internazionale (Ipc) nel 2001 che ha stabilito che la città ospitante l’Olimpiade dovesse organizzare anche le Paralimpiadi. L’obiettivo di questa integrazione è quello di dare maggiore visibilità e sostegno all’evento paralimpico, che per molti anni non è stato apprezzato quanto avrebbe meritato: oggi finalmente i due eventi sono due facce della stessa medaglia”.

Parliamo di legacy. Accessibilità e inclusione sono due pilastri delle prossime Paralimpiadi. Quali sono i progetti per garantire un lascito tangibile ai territori e alle persone con disabilità?

“Sicuramente la legacy di una Paralimpiade è diversa da quella di un’Olimpiade, ho avuto la possibilità di partecipare come capo delegazione ai Giochi invernali di Torino nel 2006 e ho potuto constatare come sia cambiato da quel momento il volto della città e i torinesi stessi, da ogni punto di vista. Il mio più grande rammarico, da romano, è che per ben tre volte ho visto sfumare il sogno olimpico e paralimpico. Poter ospitare l’evento a Roma sarebbe stata un’occasione straordinaria per adeguare le infrastrutture, eliminare le barriere architettoniche che purtroppo ad oggi persistono e rendere Roma ancora più splendida sotto il profilo culturale: l’unico quartiere della Capitale adeguato è l’Eur. Una ferita aperta. Milano da questo punto di vista è più avanzata. La grande sfida è quella di dimostrare al mondo che in Italia, grazie ai Giochi olimpici e soprattutto paralimpici, si possono adeguare ai canoni internazionali quelle che ancora oggi sono le barriere architettoniche e culturali nei confronti dei disabili. Ritengo che la chiave di lettura debba essere questa: siamo tutti potenzialmente disabili, invecchiando tutti potremmo andare incontro a varie forme di disabilità e dunque tutti dovremmo avere la possibilità di vivere in una società che elimina ogni barriera. È una questione di civiltà”

In che modo i grandi eventi possono consolidare il ruolo dell’Italia nello sport mondiale e, soprattutto, in che modo possono avere un impatto significativo sullo sport di base?

“Attraverso la comunicazione. La comunicazione è fondamentale, basta prendere ad esempio quello che è accaduto con il tennis: ha avuto una crescita esponenziale proprio grazie ai grandi eventi e alla copertura mediatica che hanno avuto. Oggi si parla quasi più di tennis  che di calcio e si è venuto a creare un forte spirito emulativo, di attenzione nei confronti di questi atleti e della disciplina stessa. E tutto questo è stato possibile proprio grazie al combinato disposto dei grandi eventi e della comunicazione, è questo il mix necessario per far crescere lo sport e la cultura sportiva. L’Italia ha un grande potenziale e iniziative come quella del ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha avviato un progetto per trasformare le manifestazioni sportive in vetrine globali del Made in Italy e i nostri atleti in ambassador – anche attraverso un nuovo protocollo d’intesa tra Maeci, ministero per lo Sport, Coni e Comitato italiano paralimpico – sono un grande volano. E un modo per avvicinare, attraverso lo sport, le comunità italiane all’estero, creando una comunanza di idee e valori. Lo sport in questo è eccezionale: parla un linguaggio universale, unisce i popoli e soprattutto offre un modello positivo”.


Torna alle notizie in home