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Politica

Intervista al senatore Alberto Balboni sulla riforma della Giustizia

"Finalmente si avrà un giudice terzo rispetto sia alla difesa che all'accusa"

di Giuseppe Ariola -


La prossima settimana in Senato ci sarà l’ultimo voto sulla riforma della Giustizia, al quale seguirà un referendum confermativo. Ne abbiamo parlato con il Presidente della commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama, Alberto Balboni.

Finalmente ci siamo.
“Sì, abbiamo votato già il mandato al relatore, che sono io, e il 28 il disegno di legge andrà in aula per essere votato giovedì 30. Poi sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e da lì decoreranno i tre mesi previsti per la richiesta di referendum”.

Che atteggiamento vi aspettate dall’opposizione?
“Finora ha fatto un accanito ostruzionismo. Presumo che non cambierà atteggiamento proprio in occasione del voto finale. Alla Camera si sono iscritti tutti a parlare, credo faranno lo stesso anche in Senato. Però, quando avranno finito i loro legittimi interventi, il provvedimento sarà votato e approvato”.

C’è una possibilità che passi non solamente grazie ai voti della maggioranza?
“Lo auspico ovviamente. L’approccio di Italia viva e di Calenda alla riforma della Giustizia non è stato di contrarietà pregiudiziale come ha fatto il resto della sinistra. Non so se questo si tradurrà in un’astensione o in un voto favorevole. Di certo hanno avuto un atteggiamento dialogante, anche perché in linea di principio loro sono favorevoli alla separazione del carriere. D’altronde, la separazione delle carriere nasce nell’alveo del costituzionalismo liberale. Non è un’idea autoritaria come sostiene la sinistra dimostrando una certa ignoranza, perché era il fascismo che voleva l’unità della giurisdizione e l’unità fra pubblici ministeri e giudici. Lo ha ricordato Bettini, uno dei pensatori più in voga nel centrosinistra.

La separazione delle carriere è il completamento di un percorso che è iniziato tanti anni fa col codice procedura penale voluto da Giuliano Vassalli, un ministro socialista, autore del passaggio epocale dal processo inquisitorio a quello accusatorio. Le prove, finalmente, si formano davanti al giudice in dibattimento con la partecipazione delle parti, accusa e difesa, in condizione di assoluta parità. E’ quello che abbiamo messo per iscritto 25 anni fa con il nuovo articolo 111 della Costituzione sul giusto processo”.

Una parità che oggi non c’è…
“Come facciamo a dire che un giudice è terzo o imparziale se fa parte dello stesso organo di autogoverno dei pm dove decidono insieme le carriere, i trasferimenti e i provvedimenti disciplinari gli uni degli altri?”.

Un tempo anche il Pd sembrava pensarla così. Poi cosa è successo?
“Purtroppo, è scivolato sempre più a sinistra. Ha inseguito Avs e 5 Stelle su posizioni sempre più radicali. Il partito voluto da Veltroni praticamente non esiste più. È stato annichilito su posizioni molto estreme da parte dell’attuale segretaria. Sulla riforma della Giustizia ci sarebbero state le condizioni per ragionare davvero di come restituire dignità alla magistratura dopo tutti i fatti noti sotto il nome di sistema Palamara che l’hanno screditata sempre di più agli occhi dei cittadini. Invece, il Pd ha preferito la strada di un’opposizione pregiudiziale”.

State comunque per portare a casa il risultato.
“Noi siamo soddisfatti perché era nel nostro programma elettorale votato dai cittadini, quindi abbiamo una legittimazione democratica. Abbiamo preso un impegno con i cittadini e l’abbiamo portato a termine. Adesso, con il referendum, l’ultima parola aspetta a chi ha veramente la sovranità, cioè al corpo elettorale”.

Vi preoccupa il rischio che quello sulla riforma si trasformi in un referendum sul governo?
“Credo che il gridare sempre ‘al lupo al lupo’ della sinistra, qualsiasi cosa faccia il centrodestra, alla lunga non paghi. Addirittura, la Schlein va in Europa a dire che noi siamo estrema destra. Se Fratelli d’Italia è estrema destra, il Pd che cos’è? Ormai è sulle posizioni dei centri sociali. In realtà questo è un governo di centrodestra, dove ci sono diverse anime ma tutte in linea con i principi europei, atlantisti e della difesa dell’Occidente. Posizioni che fino a non tanti anni fa aveva addirittura anche il Pd, che poi è scivolato sempre più a sinistra. Sulla separazione delle carriere sta tenendo una posizione che contraddice la sua stessa storia, come su tanti altri dossier”.

La riforma non risolve tutti problemi del settore della Giustizia. Pensate ad altri interventi per efficientare l’intero sistema?
“La separazione delle carriere è l’attuazione di un principio costituzionale. Ovviamente non basta a risolvere tutti i problemi del settore, però è un passo in avanti, soprattutto per restituire alla magistratura l’autorevolezza che in questi anni ha perduto. Dopodiché, è chiaro che bisogna innanzitutto abbreviare i tempi della giustizia che sono ancora troppo lunghi con conseguenze rilevanti per l’economia. Si calcola che se avessimo i tempi medi della giustizia che ha l’Europa automaticamente avremmo 100.000 posti di lavoro in più. Quindi c’è da abbreviare i tempi della giustizia, bisogna incrementare le assunzioni, anche di giudici, di cancellieri. Ci stiamo lavorando, anche sul fronte delle stabilizzazioni di tutti i dipendenti dell’ufficio del processo che sono stati assunti a tempo determinato con il PNRR”.

Nulla sulla inappellabilità delle sentenze di assoluzione?
“E’ un tema sul quale va trovato un equilibrio. La Corte Costituzionale si è già pronunciata dichiarandolo incostituzionale perché creerebbe uno sbilanciamento tra la facoltà della difesa di appellare le sentenze di condanna e l’impossibilità dei pm di appellare quelle di assoluzione. Bisogna trovare un equilibrio anche su questo. Poi c’è il tema della prescrizione che deve essere ripreso. Gli argomenti da affrontare sono diversi, però la separazione delle carriere è una svolta fondamentale sul piano dei principi e dei valori ai quali si deve uniformare la nostra giustizia”.


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