Primo Piano

IO, DOHA E PANZERI

di Rita Cavallaro -


Sono le rivelazioni esclusive a L’Identità di Tayeb Benabderrahmane, 41 anni, uomo d’affari franco-algerino e lobbista al servizio di Ali ben Samikh Al-Marri, il ministro del Lavoro del Qatar finito nelle carte dell’inchiesta sulla corruzione all’Europarlamento che, grazie alla mediazione di Antonio Panzeri e Francesco Giorgi, il primo novembre aveva incontrato l’allora vicepresidente Eva Kaili. Tayeb, finito in un’intrigo internazionale per un video hard e documenti scottanti su Nasser Al Khelaifi, presidente del Paris Saint-Germain. Un dossier che gli sarebbe stato commissionato proprio dal ministro qatariota per fini ricattatori e che, alla fine, ha portato al suo arresto. Rinchiuso in una prigione segreta di Doha dal 13 gennaio al 31 ottobre 2020, Tayeb è stato torturato, per essere poi rilasciato solo dopo aver firmato, sotto costrizione, un protocollo transazionale con il quale si impegnava a fornire al Qatar un certo numero di dati in suo possesso.
Signor Tayeb Benabderrahman, lei conosce bene Al-Marri, il ministro considerato il legame tra le tangenti al Parlamento europeo e al Qatar. Come funziona l’Emirato e qual è il suo obiettivo?
Jean de La Fontaine ha scritto una favola che riassume la statura del Qatar a livello internazionale: “La rana che vuole diventare grande come il bue”. Nel Qatar le famiglie che contano sono poche, ma condividono una fortuna sconcertante. Questo Paese dalla ricchezza insolente ha appena 312.000 cittadini. I restanti 2,3 milioni, l’88% degli abitanti, sono espatriati. Il Qatar ha quindi un bisogno vitale degli stranieri, ma li tratta, una volta lì, con disprezzo e condiscendenza. I qatarioti cercano di creare un’identità nazionale, ma la famiglia reale non tollera il dissenso e non garantisce i diritti umani. Il Qatar insomma è un miraggio: un paese che finge la modernità, ma rimane fondamentalmente tribale. Mi sono reso conto tardi di questa realtà: Ali bin Samikh al-Marri e suo cugino Ali bin Fetais al-Marri non amano al-Khelaïfi. Ali bin Samikh al-Marri mi ha fatto credere che stava lavorando per combattere la corruzione, ma stava giocando la sua carta. Cercava di consolidare la propria posizione fingendo di essere “più del Qatar dei Qatari”.
Quali sono le personalità di rilievo a livello globale sulle quali il Qatar ha puntato o ha cercato di influenzare?
Va ricordato che nel 2017 il Qatar ha vissuto una grave crisi diplomatica con diversi paesi del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Molto isolato sulla scena regionale, e di fronte ai blocchi, anche diplomatici, organizzati dall’Arabia Saudita, il Qatar ha poi cercato staffette dai Paesi in particolare europei, per difendere la sua posizione. Questa campagna di pubbliche relazioni al più alto livello implicava poter contare su una rete di influenza presso molti governi e istituzioni internazionali. Non sapevo la portata di ciò che il Qatar aveva messo in atto nell’ambito di questa politica nei confronti dei Paesi e delle Istituzioni europee e conosco solo poche persone su cui il Qatar si è affidato in questa campagna di pubbliche relazioni. So in particolare che il gruppo Edile Consulting o il Ceps hanno fornito servizi all’Emirato. Ho anche potuto vedere che, nel 2017-2019, diversi responsabili politici chiave erano in collegamento diretto e stretto con Ali bin Samikh al-Marri, che allora occupava il ruolo strategico di presidente del Comitato nazionale per i diritti umani del Qatar (Nhrc). Rachida Dati e Michèle Alliot Marie erano in contatto regolare con Al-Marri e si sono così recate a Doha su suo invito nel dicembre 2018. Mi sono anche imbattuto in una ripresa del signor Panzeri a Doha, il 14 aprile 2019, durante una conferenza internazionale sui diritti umani. Tuttavia, non conosco le condizioni, soprattutto finanziarie, che li hanno portati a lavorare per il Qatar.
E lei come è intervenuto sull’Europa?
Sono intervenuto principalmente come consigliere speciale del presidente del Nhrc nel continente africano attraverso azioni di intermediazione sulla crisi libica e per impedire il licenziamento degli ambasciatori del Qatar dai paesi africani. Sono anche intervenuto per avvisare i responsabili politici, in particolare in Francia e in Italia presso la Santa Sede, sulle conseguenze umanitarie che il blocco stava comportando per le popolazioni del Qatar.
E incontri al Parlamento Europeo?
Ho organizzato, per il martedì Primo ottobre 2019 alle ore 10.30 a Bruxelles, una riunione tra Al-Marri e il coordinatore per la lotta contro il terrorismo Gilles de Kerchove.
Lei è diventato una vittima di questo modus operandi del Qatar, che opera attraverso corruzione e ricatti. Ed è stato, a sua insaputa, uno degli attori di questo sistema. Quando e come si è reso conto che il dossier e il video non servivano per stabilire un caso di corruzione ma era ricatto?
Quando mi ha reclutato, Ali bin Samikh al-Marri mi ha detto che la lotta alla corruzione all’interno degli organi finanziati con denaro pubblico e il dirottamento della ricchezza del Qatar era diventato una priorità per le più alte autorità dello Stato del Qatar e mi ha incaricato di raccogliere tutti gli elementi relativi a questi argomenti per quanto riguarda gli investimenti del Qatar in Francia e in Europa. La situazione del paese con il blocco era molto tesa. Naturalmente, il Paris Saint Germain era uno degli argomenti a cui dovevo interessarmi. È in quanto tale, come consigliere speciale del presidente del Comitato nazionale per i diritti umani del Qatar, che ho ricevuto un’ampia varietà di informazioni. Tutte queste informazioni sono state memorizzate in supporti digitali e chiavette Usb, con il resto dei dati che avevo raccolto sia in Qatar che durante il resto della mia attività professionale di consulente in geopolitica e geoeconomia. Non sospettavo per un solo momento che il mio datore di lavoro mirasse, con queste indagini, non a combattere la corruzione, ma a danneggiare Nasser Al-Khelaïfi, presidente e amministratore delegato del Paris Saint-Germain e presidente del consiglio di amministrazione di BeIn Media Group.
E cosa ha provato quando ha capito il vero motivo?
Ero sempre più imbarazzato dagli elementi che stavo scoprendo e comunicando al mio supervisore. Infatti, anche se non sono mai stato informato sui casi di corruzione politica, in quello che ora è noto come “Qatargate”, ritenevo che alcuni dei fatti che avevo scoperto fossero gravi e richiedevano una risposta da parte del Nhrc. Ma quando le risposte non arrivavano ho presentato le dimissioni. Ero diventato, al quel punto, lo straniero che aveva messo a nudo gravi disfunzioni di cui tutti i circoli di potere, anche apparentemente antagonisti, avrebbero sofferto. Ne sapevo sicuramente troppo e dovevo essere messo a tacere.
Cosa ha subito durante la sua detenzione illegale nella prigione segreta di Doha?
Il 13 gennaio 2020, al mio ritorno in Qatar dopo le feste in Francia, sono stato arrestato. Durante la detenzione sono stato sottoposto a ripetuti atti di tortura, in una prigione segreta, chiuso in una cella di meno di 2 metri per 2. Sono stato torturato fisicamente e psicologicamente. Minacciato di morte, mi impedivano di dormire. Mi hanno minacciato di uccidere i membri della mia famiglia, di violentare mia figlia. Non non ho potuto avere un avvocato.
Perché le hanno fatto tutto questo?
L’unico oggetto del mio arresto e della mia detenzione era costringermi a consegnare tutte le informazioni riservate e sensibili che avevo ottenuto. Mia moglie è stata costretta a portare ai qatarioti i vari supporti che contenevano queste informazioni.

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