Politica

Io sono (diventata) Giorgia storia di una donna leader

di Adolfo Spezzaferro -


La presidente di FdI è pronta a guidare il Paese con il placet dei partner internazionali: “Con me nessuna deriva autoritaria”.

I piedi sollevati da terra nella posa plastica del passo di corsa, il megafono, lo sguardo determinato: è l’istantanea che raffigura Giorgia Meloni negli anni ’90, quando era responsable nazionale di Azione Studentesca, il movimento giovanile di Alleanza Nazionale sorto dalle ceneri del Fronte della Gioventù. Oggi la vediamo che parla in francese, inglese e spagnolo per rassicurare i partner internazionali che sarà un premier all’altezza del compito e che non ci saranno derive autoritarie in Italia con il suo governo. Nel video rivolto alla stampa estera, la leader di Fratelli d’Italia appare super serena e iper tranquillizante: camicetta colori pastello, capelli lunghi e lisci molto ordinati, al fianco il tricolore, le braccia conserte sulla scrivania. Tra la prima immagine da militante e quella del video in versione leader di caratura internazionale ci sono mille e mille facce arrabbiate, mille e mille comizi in cui ha gridato, spesso con uno stile un po’ troppo da “becerona” e con un intercalare pesantemente romanesco. Negli anni, il dialetto è sparito, gli intercalare sono diventati più morbidi, come il suo marchio di fabbrica “banalmente”, una sorta di “actually” in versione italiana. Tra le foto di Giorgia piena di fervore giovanile e di ardore ideale e quelle sorridenti, pacate, molto femminili di questa campagna elettorale ci passa tutta una carriera senza eguali.
Nel 2000 dirigente nazionale di Azione Giovani. Nel 2004 presidente. Nel 2006 eletta alla Camera nelle liste di Alleanza Nazionale a soli 29 anni: la più giovane parlamentare della XV legislatura. A 31 viene nominata ministro per la Gioventù del governo Berlusconi IV. Il ministro più giovane della storia dell’Italia unita. Da lì in poi Giorgia non si è più fermata. Nel 2012 fonda FdI, di cui è la presidente. Con ogni probabilità, se il centrodestra dovesse vincere le elezioni il 25 settembre e lei prenderà un voto in più degli altri alleati, il leader della Lega Matteo Salvini e il leader di Forza Italia nonché “padre” della coalizione Silvio Berlusconi, sarà presidente del Consiglio. La prima donna premier della storia dell’Italia unita. Leader di un partito di destra e non di sinistra, nonostante tutta la fuffa post femminista sparsa da quelle parti.
Le parole d’ordine di Giorgia versione campagna elettorale 2022 sono tutte misurate, calcolatissime e rivolte anche e soprattutto all’estero. Perché la stampa straniera (che poi riporta quello che scrivono i corrispondenti esteri in Italia) ha lanciato da tempo l’allarme svolta autoritaria con un governo di centrodestra guidato da una leader di destra. “Nessun rischio di deriva autoritaria”, scandisce forte e chiaro la Meloni poliglotta, che smentisce quanto riportato dai giornali stranieri. Dice di aver “letto che la vittoria di Fratelli d’Italia nelle elezioni di settembre sarebbe un disastro, verso una svolta autoritaria, l’uscita dell’Italia dall’euro e altri sciocchezze di questo genere. Nulla di questo è vero” assicura la leader di FdI, in grande spolvero per i sondaggi. “La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia da decenni ormai, condannando senza ambiguità la soppressione della democrazia e le vergognose leggi contro gli ebrei. Per anni – prosegue la Meloni – ho anche avuto l’onore di guidare il Partito conservatore europeo, che condivide valori ed esperienze con i Tory britannici, i Repubblicani statunitensi e il Likud israeliano”. E conclude, ribadendo la linea di Frdi a sostegno dell’Ucraina: “La nostra posizione nel campo occidentale è cristallina, come abbiamo dimostrato di nuovo condannando senza se e senza ma la brutale aggressione della Russia contro l’Ucraina, e aiutando dall’opposizione a rafforzare la posizione dell’Italia nei forum europei e internazionali”. Presentando il video in tre lingue sui social, la Meloni parla di risposta ad una “narrazione, ispirata e alimentata dalla sinistra”, replica in francese, inglese e spagnolo (sul tedesco non mi avventuro) per spiegare meglio chi siamo e cosa vogliamo fare. Così chi volesse davvero approfondire, e non farsi imbeccare dai nostri avversari, potrà farlo. Chi invece, a sinistra, continuerà con questa narrazione non danneggerà me o FdI ma l’Italia intera. E se ne assumerà la responsabilità”.
Queste le parole rivolte al mondo, per respingere in modo convincente l’immagine stereotipata di quella “de destra” che le vorrebbero appioppare. Ma la Meloni è la grande novità della politica italiana. Tutto è già visto, pure il neonato terzo polo di Calenda e Renzi. Lei invece è nuova: incarna la destra europea conservatrice. E lo fa in modo credibile perché è da anni che si prepara al suo grande momento. Entrando nei “circoli” giusti, accreditandosi negli Usa e a Bruxelles. Lei non c’entra nulla con il pericolo fascista o con la destra beceramente reazionaria. Lei è pacatamente conservatrice. Ma dietro quella pacatezza anzi alla base di quella calma e serenità ci sono una ferrea determinazione e ca va sans dire un lucido, freddo calcolo politico. Certo, nella coalizione deve avere a che fare con un Salvini che invece esprime quel populismo un po’ troppo esagerato negli slogan e nelle soluzioni date in pasto alla campagna elettorale che giustamente è bersagliato dagli avversari. Ma lei no. Poi certo, se ci si mette pure il segretario del Pd Enrico Letta a servirle assist killer come quello sulla cipria… Stiamo parlando del leader dem che si becca (giustamente) del misogeno dalla leader di un partito di destra. Una cosa che scardina ogni pregiudizio sul maschilismo tossico tipico della destra. Anche perché, appunto, il principale partito di destra italiano (oltre che il più votato in assoluto, se prendiamo per buoni i sondaggi) è guidato da una donna. Si dirà: la Meloni fa tutto bene, nei toni e nei modi. Ma i contenuti? Sono validi anche quelli. Basti vedere come si posiziona sulla fantomatica flat tax rispetto a Salvini e Berlusconi. Così come sull’immigrazione. E poi la squadra di governo: se i nomi che circolano non sono stati tirati fuori per bruciarli ma sono quelli veri, nessuno potrà obiettare alla Meloni che avrà fatto un governo “de destra” nel senso più deleterio del termine. Già solo per un Giulio Tremonti ministro dell’Economia: la nemesi di SuperMario.


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