Esteri

Iran: scarcerati cinque americani. Cosa c’è dietro la mossa di Teheran

di Ernesto Ferrante -


Si è riaperto uno spiraglio di dialogo fra Stati Uniti e Iran. Eravamo stati tra i primi a scriverne a giugno, evidenziando il ruolo dell’Oman nelle vesti di paziente mediatore. Gli sviluppi delle ultime ore confermano i segnali di distensione.
Un “passo positivo”. Si è espresso così il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, dopo la scarcerazione in Iran di cinque detenuti americani, trasferiti dalla prigione di Evin agli arresti domiciliari. L’auspicio degli americani è che sia “l’inizio di un processo che porti al loro ritorno a casa negli Usa”.
Durante una conferenza stampa, Blinken ha confermato l’impegno a “fare tutto il possibile per riportare a casa coloro che sono detenuti ingiustamente in vari Paesi, tra cui l’Iran”. Il segretario di Stato ha ricordato come il caso risalga a un periodo precedente a quello dell’Amministrazione Biden e come un cittadino americano sia stato detenuto “ingiustamente” per otto anni, aggiungendo che “questo è l’inizio della fine del suo incubo”.
“Il Dipartimento di Stato è in contatto con i cinque”, ha puntualizzato il capo della diplomazia Usa. L’Iran, ha detto ancora, “non otterrà alcun allentamento delle sanzioni” e, “in ogni caso, laddove partecipiamo agli sforzi per riportare a casa gli americani dall’Iran, saranno usati fondi iraniani e trasferiti su conti con restrizioni in modo che il denaro possa essere utilizzato solo per scopi umanitari”.
Parole più di forma che di sostanza, pronunciate anche per non guastare certi equilibri interni, che arrivano dopo che fonti citate dal New York Times hanno sostenuto che gli arresti domiciliari decisi dalle autorità della Repubblica islamica dell’Iran per i cinque, rientrino in un accordo più ampio che include la consegna di cittadini iraniani detenuti per aver violato le sanzioni.
La moneta di scambio sono i soldi bloccati all’estero. I fondi iraniani da scongelare, secondo l’agenzia Tasnim, ammonterebbero a circa sei miliardi di dollari e sarebbero depositati in Corea del Sud. Qualcosa in tal senso è già avvenuto con il pagamento da parte dell’Iraq di un debito energetico di 2,76 miliardi di dollari, favorito dagli statunitensi, a patto del suo utilizzo per acquistare, attraverso fornitori concordati, cibo e medicine per la popolazione civile.
Le trattative sarebbero entrate in una fase avanzata nel mese di maggio, a Mascate, la capitale del sultanato dell’Oman. Washington vuole impedire Teheran entri completamente nell’orbita di Mosca e Pechino. Gli iraniani, invece, stanno facendo i conti con un fronte interno non più così solido e soprattutto con il peso dei provvedimenti sanzionatori. Occorre tener presenti, inoltre, le consultazioni informali, mai del tutto interrotte, sul nucleare.

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