Esteri

IRANBAN

di Martina Melli -


Continua la protesta in Iran e continua la repressione. Da oltre tre mesi il Paese è a ferro e fuoco, civili in strada a manifestare, studenti universitari in sciopero, negozi chiusi per giorni, minacce, arresti, incarcerazioni, torture ed esecuzioni capitali.
Le ultime notizie arrivano dalla CNN, secondo la quale il Governo iraniano violerebbe gli account personali delle persone detenute a Evin senza che le aziende tech possano fare nulla per evitarlo. A raccontarlo Negin (nome inventato), prigioniera del famigerato carcere di Teheran a cui, durante gli interrogatori, sono state messe davanti le proprie conversazioni in chat con gli amici. La ragazza ha raccontato di essere stata accusata dalle autorità iraniane di gestire un gruppo di attivisti anti-regime su Telegram, accusa da lei respinta.
“Mi hanno messo davanti le stampe trascritte delle mie conversazioni telefoniche con alcuni miei amici”, ha detto, “e mi hanno interrogato su quali fossero i miei rapporti con loro”.
“Mi hanno detto: Pensi di poter uscire viva da qui? Ti giustizieremo. La tua sentenza è la pena di morte. Abbiamo le prove, siamo al corrente di tutto”, ha continuato. Secondo la ragazza gli agenti iraniani avrebbero violato il suo account Telegram lo scorso 12 luglio, data in cui si è resa conto che un altro indirizzo IP vi aveva avuto accesso. In più, mentre lei era in prigione, le hanno riattivato l’account per vedere chi cercava di contattarla e dunque chi fossero gli attivisti con cui era in contatto. Il regime iraniano incarcera sempre più persone e minaccia di uccidere “al più presto e senza indugio” – come affermato dal capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni Ajaei – altri sei manifestanti, dopo i due ragazzi già giustiziati, Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard.
Da diverso tempo ormai, la protesta si è allargata a tutta la popolazione, ma è iniziata come risposta all’ennesimo sopruso della polizia morale nei confronti di una donna, la giovane ragazza curda Mahsa Amini che lo scorso 16 settembre è stata arrestata e uccisa in circostanze indecifrabili per aver indossato male il velo.
Il popolo, esasperato, non smette di protestare e di organizzare scioperi e altre forme di resistenza.
In questa situazione, le istituzioni si stanno adoperando per chiudere o almeno imbavagliare Internet, mezzo fondamentale per l’organizzazione e l’associazione dei dissidenti del regime.
Adesso ci si trova di fronte un nuovo scenario: a quanto sembra, il Governo sta usando la tecnologia a proprio vantaggio, accedendo alle applicazioni mobili per sorvegliare e sopprimere la ribellione.
Per anni gli attivisti per i diritti umani all’interno e all’esterno dell’Iran hanno parlato delle capacità del regime di accedere a distanza e manipolare i telefoni cellulari dei manifestanti. E le aziende tecnologiche sembrano non essere attrezzate per impedirlo.
Amir Rashidi, direttore dei diritti digitali e della sicurezza presso l’organizzazione per i diritti umani Miaan Group, ha affermato che i metodi descritti da Negin corrispondono al manuale del regime iraniano. “Io stesso ho documentato molti di questi casi”, ha detto. “Hanno accesso a qualsiasi cosa”.
Il Governo potrebbe aver usato simili tattiche di hacking per sorvegliare gli account Telegram e Instagram di Nika Shahkarami, la giovane di 16 anni morta dopo una manifestazione a Teheran il 20 settembre.
Dopo la scomparsa di Nika, i suoi famosi account Instagram e Telegram erano stati disattivati. Il 12 ottobre, due suoi amici vevano notato che il suo account Telegram era tornato brevemente online. “Telegram è tutto in Iran”, ha spiegato Rashidi.
Secondo lui, il grosso problema è che il regime non ha nemmeno bisogno che le società di telecomunicazioni lavorino con loro. “Il Governo iraniano gestisce l’intera infrastruttura delle telecomunicazioni in Iran”.

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