Economia

Italia a rischio nella battaglia del grano

Coldiretti: importiamo troppo, perso mezzo milione di ettari coltivati

di Alessio Gallicola -


Potrebbe essere l’Italia uno dei Paesi più colpiti dall’emergenza grano se non si riuscisse a sbloccare entro breve tempo gli enormi quantitativi stoccati nei depositi ucraini e impossibilitati ad essere trasferiti per il blocco dei porti da parte della Russia. Il dato emerge dall’analisi della Coldiretti presentata all’apertura della Borsa merci future di Chicago, il punto di riferimento mondiale del commercio delle materie prime agricole. Il nostro Paese è deficitario ed importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais per l’alimentazione del bestiame. Vengono al pettine così i nodi di una politica agricola che negli ultimi dieci anni ha visto ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais, assistendo alla scomparsa del 20% dei campi di grano esistenti nel Paese. “L’Italia – denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, con la conseguente riduzione della produzione e la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”. Da qui l’invito al governo ad intervenire per evitare la crisi della filiera alimentare “introducendo misura immediate per salvare aziende e stalle e per programmare il futuro. Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi”.

Investire sull’agricoltura per ridurre la dipendenza dall’estero e non sottostare ai ricatti alimentari resta la strada maestra, motivo per cui Coldiretti si era dichiarata entusiasta del piano Ue pronto a destinare ulteriori 200mila ettari di terreno alle colture. Un’ipotesi però non seguita, ad oltre due mesi dall’annuncio, da azioni concrete. Eppure l’Europa avrebbe ragione a spingere su questa politica, avendo raggiunto negli anni un livello di autosufficienza della produzione comunitaria che va dall’82% per il grano duro al 93% per il mais, fino addirittura al 142% per quello tenero”. Uno scenario molto più favorevole rispetto, ad esempio, a quello dell’energia, dove la strada per l’indipendenza è lunga e segnata da notevoli difficoltà.

Nel frattempo il blocco dei porti ha generato, secondo Coldiretti, inflazione nei Paesi ricchi ma rischia di provocare carestia in quelli poveri, con ben 53 Stati in deficit alimentare. I più esposti attualmente sono Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran, che acquistano più del 60% del grano da Russia e Ucraina, ma una forte dipendenza si registra anche in Libano, Tunisia Yemen, Libia e Pakistan.

 L’unica a guadagnare davvero dallo stallo è la speculazione finanziaria, che si è spostata dai metalli preziosi ai prodotti agricoli, dove le quotazioni non dipendono più dall’andamento reale della domanda e dell’offerta ma dalle strategie di mercato incentrate sui contratti derivati “future”, uno strumento utilizzato anche per l’energia, che permette di investire su scambi “virtuali” di prodotto. Basta fare attenzione agli stessi dati Coldiretti, che parlano di una quotazione mondiale del grano scesa nell’ultima settimana a 12 dollari per bushel (27,2 chili) grazie al solo annuncio da parte russa dell’ipotesi di sblocco dei porti ucraini. Un gioco che, combinato alle stime di un calo del 40% del raccolto previsto per questa stagione, rischia seriamente di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali.


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