Politica

La mossa del Greco: l’Ue e la “solita” Italia della corruzione

di Giovanni Vasso -


In teoria sarebbe tutta una mezza questione burocratica. In realtà diventa un caso politico. Perché ieri l’Italia ha scoperto l’esistenza di un organismo in seno al Consiglio d’Europa, il Greco (che non è il mitico Zorba), che inflessibile punta il dito contro la corruzione e i conflitti d’interesse che infestano questo sciaguratissimo Paese. Il Greco (che non è manco Platone) rivela che occorrono “misure risolute” per “prevenire la corruzione” nei confronti delle persone che ricoprono funzioni esecutive di alto livello (in pratica tutti gli esponenti del governo, dal premier fino all’ultimo dei sottosegretari) e delle forze dell’ordine. Parrebbe, secondo il Greco (che non è nemmeno il dovizioso Onassis), che l’Italia abbia un quadro legale e istituzionale per la prevenzione e la lotta alla corruzione “consistente che, tuttavia, risulta difficile da dominare, ciò andando a scapito della sua efficienza” e ciò “si ricava in maniera evidente nella regolamentazione dei conflitti di interesse, laddove vari testi affrontano aspetti diversi di tali conflitti nell’ambito di diverse categorie di funzionari, mentre i consulenti dei ministeri non sono soggetti ad alcuno di questi regimi. Inoltre, ai ministri e ai loro consulenti si applicano diversi regimi relativi alle comunicazioni finanziarie” e infine “non tutte le informazioni comunicate sono soggette a una revisione sostanziale da parte di un’autorità indipendente”. In pratica, abbiamo troppe leggi e autorità ma non ne teniamo una che badi a ciò che fanno ministeri e consulenti. Ma non basta. Perché il Greco (che non è neanche un erede di Maria Callas) riferisce che “nel diritto italiano non esiste una definizione generale della nozione di conflitto di interessi” e che “al contrario, diversi testi ne affrontano aspetti diversi per differenti categorie di persone”. Questo pare il prezzo da pagare dopo vent’anni di antiberlusconismo. La proposta del Greco (no, non è l’albero da cui furono colte le famose olive di Mario Brega e Carlo Verdone) è quella di “adottare un codice di condotta per le persone con funzioni esecutive di alto livello che deve essere reso pubblico e contenere norme chiare relative ai conflitti di interessi e ad altre questioni che riguardano l’integrità, come regali, contatti con lobbisti e terzi in generale, attività esterne, contratti con autorità statali, la gestione delle informazioni confidenziali e le restrizioni post-incarico”. Da dotare, chiaramente, di un complicato e raffinato meccanismo di sanzioni, pesi e contrappesi. Pare chiaro che il Greco, che è l’acronimo del Gruppo di Stati contro la Corruzione del Consiglio d’Europa, si sia andato a infilare in una vicenda che avrà più ripercussioni dentro la politica che nei fatti concreti. Un’occasione persa, dal Greco (che, ribadiamolo, non è un apprezzato e ottimo vino), in un momento delicatissimo per la politica comunitaria come quello della formazione della nuova Commissione che sarà presieduta, una volta ancora, da Ursula von der Leyen. Che qualche problemino di trasparenza, col caso Bourla, coi vaccini e quei famosi messaggi che non si trovano più, pure ce lo ha avuto. Così come qualche problemuccio l’hanno lamentato pure all’Europarlamento con quel pasticciaccio brutto col Qatar, solo che invece del Greco (none, non è Theodoros Zagorakis, ex capitano della Grecia campione d’Europa 2004) c’era invischiata la greca Eva Kaili, finita al centro dell’inchiesta della magistratura belga. Insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma scagliarla contro l’Italia, adesso, sembra avere un preciso significato politico. Un atto comprensibile a chi ha orecchie per intendere. Ciò, però, non deve assolvere un Paese, come il nostro, in cui questi problemi sono radicati e conclamati. L’obiettivo dichiarato del rapporto del Greco (ormai l’avete capito cos’è, no?) è di “sostenere l’attuale riflessione, all’interno del Paese, sulle opzioni per rafforzare la trasparenza, l’integrità e la responsabilità nella vita pubblica”. Sono trent’anni che ne parliamo, tra noi e fuori dalle mura domestiche. Ma nemmeno può essere la “solita” Italia madre di ogni vizio, corruzione su tutti, perché questa è una retorica, a livello europeo, che ci costa in termini di sviluppo e di subalternità, non solo culturale, ma soprattutto economica.


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