Macron, vuoi un po’ di stabilità? L’Italia e la Francia e il caso rating
Parigi sogna di far da "garante" a Roma, adesso rischia di diventare la "periferia internazionale"
Italia e Francia, Francia e Italia. Le parole sono importanti. I numeri pure. Le lettere, se possibile, ancor di più. Specialmente quando si parla di valutazioni, di rating. Al di là, però, dei giudizi e del consenso degli analisti c’è un dato di fatto. Di cui si parla da settimane. E di cui, in un Paese che per anni s’è preoccupato dei punti di spread, delle fluttuazioni dei decimali, persino delle bollinature, si dovrebbe parlare per mesi. È accaduto che l’Italia stia andando meglio della Francia. Facile, dicono i dritti che la sanno lunga: è Parigi bocciata proprio da Fitch qualche settimana fa che le ha abbassato il rating ad A+ da AA- che fa peggio di noi (che pure ieri sera siam passati da una tripla B d’ordinanza a una più prestigiosa BBB+) non il contrario. Le parole sono importanti. Le lettere, se possibile, ancora di più. L’importante è non rigirarsele troppo col rischio di farsele scoppiare in mano.
Italia e Francia, trova le (nuove) differenze
A scavare un po’ nei giudizi degli economisti, nel “consensus” degli analisti, ciò che emerge è che, pur sottoposte entrambe allo stesso Patto di stabilità (senza crescita), Italia e Francia hanno risposto in maniera diversa agli stimoli. Roma, la capitale di quelli che una volta erano i Piigs, ha tenuto i conti in ordine e si avvantaggia di una stabilità politica che, in Italia, non si vedeva da anni. Parigi, invece, si ritrova al bivio: senza un governo capace di durare più di un’estate, con la necessità di tagliare le spese sociali e le piazze che già bruciano mentre esplode l’ennesimo scandaletto da basso impero glamour con il leak della nota spese della sindaca Anne Hidalgo, capace di spendere 210mila euro dal 2020 al 2024 destinandone poco meno di 85mila solo al restyling del suo guardaroba. E dicevano di noi…
Te lo ricordi lo spread?
C’è la questione dello spread. Ricordate? Ne abbiamo parlato per anni, in Italia. Ormai come funziona l’abbiamo imparato anche se (chissà come mai…) adesso non se ne parla più come prima. Più il differenziale aumenta, più salgono gli interessi che vanno riconosciuti agli investitori per portare soldi allo Stato che emette i titoli. Vale, però, anche al contrario: più scende lo spread, meno interessi s’hanno da pagare. Ergo, l’Italia, che sta recuperando fortissimo, potrà rifornirsi di denaro offrendo agli investitori la sicurezza di un sistema Paese solido quanto (era stato?) quello francese, risparmiando, così, sulle cedole e piazzandosi al centro, quasi come una potenza nascente, anzi Rinascente, del Vecchio continente. Un bel colpo, e non solo per Giorgetti che, sull’onda dell’entusiasmo, ieri ha annunciato una nuova emissione di Btp Valore aperti, però, solo alle famiglie e ai piccoli risparmiatori. Viceversa, la Francia dovrà penare e non poco per convincere a investire in Oat. Certo, parliamo pur sempre di una potenza economica di tutto rispetto che nel corso degli anni ha saputo, a suo modo, rafforzarsi traendo anche vantaggio dalle debolezze altrui (anche nostre, per carità). Parigi, nonostante tutto, ha pur sempre dalla sua parte la prodigiosa Christine Lagarde che, finché potrà, sosterrà la Francia e la sua ripresa. I tedeschi che comandano a Francoforte, in fondo, non è che siano poi così cattivi. O no?
“Una nuova periferia internazionale”
Ma bisognerà promettere tanti soldi (in più) ai lupi di Wall Street per far loro dimenticare la sostanziale impossibilità politica di procedere alle solite riforme, a cominciare da quelle delle pensioni, che dovrebbero abbattere il deficit francese. La conseguenza sarà quella che già è stata profetizzata dal Financial Times, mica un blog complottista, citando, appunto, investitori internazionali e non tizi col cappello di stagnola: “La Francia diventerà la periferia internazionale”. E l’Italia sarà il centro. Chissà, madame Elizabeth Borne (che ne è stato, poi, di lei?), come la prenderebbe, lei che avrebbe voluto “vigilare” sull’Italia dopo le elezioni di due anni fa. Era dai tempi di Sarkozy (quello del sorrisino sul Cav mentre qui infuriava la buriana dello spread) passando per i Trattati del Quirinale (ah, che fine hanno fatto?) e per tutta la sfilza di Legion d’Honneur consegnate di volta in volta ai governanti italiani dopo Berlusconi, che l’Italia non centrava un risultato che è economicamente e politicamente, tanto rilevante.
L’Eurogruppo, bontà sua, ricorda all’Italia che tutti i Paesi devono ratificare il Mes. Chi spera che gli italiani eternamente inadempienti non lo facciano davvero, sta a Parigi. Come un diavoletto dispettoso, Pierre Gramegna, direttore dell’infernale Meccanismo europeo di Stabilità (citofonare Atene), già soffia fiamme sui piedini del connazionale Emmanuel Macron e sulle guanciotte del tenerissimo premier Sébastien Lecornu: “Resta cruciale trovare una politica credibile che riduca il deficit nel tempo, in linea con il nuovo Patto di Stabilità a cui si è impegnato il governo francese”. Se non lo brucia il fuoco del Mes, ci penseranno i roghi delle piazze a cuocere allo spiedo ciò che resta delle sempre più traballanti istituzioni transalpine. La Francia rischia grosso tra instabilità politica e conti in rosso.
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