Economia

Italia immobile

di Giovanni Vasso -


Ci siamo spenti. La pandemia, la guerra, il caro energia e il caro vita ci stanno annichilendo. Viviamo senza programmare e quando lo facciamo è come se non lo facessimo. L’Italia è un Paese immobile, che non va né avanti e nemmeno indietro, che si culla sul presentismo e che vive, letteralmente, alla giornata. Guidato, per giunta, da una classe dirigente che lascia molto a desiderare in termini di lungimiranza e di valore. Insomma, l’Italia, che appare priva di forze, è sull’orlo del baratro. In attesa che qualcosa succede. Il 56esimo rapporto Censis è impietoso nel fotografare lo stato dell’arte nel Paese che vive in uno stato di “latenza”, indolente, ferito e incapace di reagire. Se l’Italia non è già sprofondata lo deve agli sforzi dei singoli. Che, nonostante tutto (e cioè le quattro grandi crisi che in appena tre anni si sono abbattute sull’Italia e sul mondo), continuano a rimboccarsi le maniche.
Il Censis descrive così “il nostro Paese”, che “nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura: riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti”. L’Italia, secondo il rapporto, “vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di mappatura della realtà e dei bisogni, adattamento, funzionamento. La società italiana aspetta di divenire adulta, si affida alle rendite di posizione e di ricchezza, senza corse in avanti affronta i grandi eventi delle crisi globali con la sola soggettiva resistenza quotidiana”.
Insomma, gli italiani si sono rifugiati “in una sorta di acchiocciolamento nell’egoismo, di avvolgimento a spirale su se stessa della struttura sociale che attesta tutti a traguardi brevi”. E nemmeno le fanfare del Pnrr e della ripresa sembrano svegliare il Paese dal torpore: “I flussi di risorse promessi e assegnati dal Pnrr al Mezzogiorno, mai come ora ingenti, chiamano a raccolta capacità di progettazione e responsabilità locali spesso inadeguate per mettere in moto dinamiche di medio periodo e occupazione di qualità. L’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto; che la macchina amministrativa pubblica è andata fuori giri e così non sarà in grado di trainare la ripresa; che la ricerca è intrappolata nella morsa di una scarsa qualità delle strutture e della programmazione pubblica; che l’esercizio della giustizia presenta disparità territoriali intollerabili; che la cronica sottoassicurazione degli italiani è uno dei privilegi che non possiamo più permetterci; che la vivace e positiva dinamica manifatturiera è stretta da una endemica fragilità logistica; che il ritardo dei servizi avanzati ricade anche sull’economia dei servizi tradizionali”.
Il Censis non è generoso nemmeno nei confronti degli ultimi governi e infligge una solenne bastonatura alla classe dirigente italiana: “Abbiamo assistito a un proliferare, spesso scomposto, di piani di ogni genere. Senza, o quasi, dibattito pubblico, senza traguardi e impegni precisi, senza vincoli ai processi e ai soggetti. Lasciando a ciascuno il primato dell’opinione individuale, ogni spinta programmatica è spenta nell’enfasi dell’arrivo e nel rinvio di ogni responsabilità attuativa. Come se la foce dica tutto del fiume”. E ancora, il Censis punta il dito in un feroce j’accuse: “Lo sforzo di autoconservazione, l’istinto a resistere e a conservare convenienze individuali, il contenimento dei doveri di solidarietà, lo scivolamento in basso degli investimenti sociali hanno finito per appiattire tutto sull’esistente; e nulla come la conservazione dell’esistente genera più contraddizioni e diseguaglianze, perché l’individuale adattarsi al mondo smarrisce ogni responsabilità collettiva di futuro”.


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