Primo Piano

“Italia mai così divisa E il divario crescerà”

di Redazione -


“Dovremmo recuperare l’uguaglianza, invece andiamo verso un’ulteriore divaricazione”. Francesco Pallante, professore di diritto costituzionale all’Università di Torino, rilancia la lotta “dal basso” con la proposta di legge costituzionale presentata dal Coordinamento Democrazia Costituzionale.
Ieri l’Italia ha “festeggiato” i 152 anni dall’Unità. Siamo davvero uniti?
I dati parlano chiaro: quale che sia il settore preso in considerazione, le divergenze tra il Nord e il Sud Italia sono enormi e crescenti. È così per la scuola, la salute, l’assistenza sociale, l’occupazione, il reddito, la povertà, la condizione femminile. Un dato su tutti, riassuntivo di molti fattori: tra la Regione Calabria e la Provincia di Bolzano la differenza in aspettativa di vita in salute è di ben tredici anni. Come si può parlare di unità se la vita stessa dipende in modo così marcato da un dato casuale come il luogo di nascita? Non esiste altro Paese dell’Unione europea che abbia al suo interno una differenza tanto marcata: sono italiane, nello stesso tempo, alcune delle zone più ricche e alcune delle zone più povere d’Europa. Recuperare l’uguaglianza dovrebbe essere la priorità indiscussa; e invece andiamo verso un’ulteriore divaricazione della condizione delle Regioni.
Ora inizia l’iter parlamentare. Cosa si aspetta dalle forze politiche? Sarà battaglia o una passeggiata per la maggioranza?
Sulla carta, la maggioranza gode di un vantaggio numerico sulle opposizioni che le consentirebbe di approvare la legge senza problemi. Ci sono però due incognite. Come si comporteranno gli esponenti della maggioranza, in particolare di FdI e FI, eletti nel Sud Italia? Davvero, al momento decisivo si appiattiranno sulle pretese della Lega? È vero che in Conferenza Stato-Regioni tutte le Regioni di destra hanno espresso parere favorevole, ma si è percepito il malumore di molti Presidenti meridionali. Inoltre, come si comporteranno le opposizioni? L’autonomia differenziata è stata avviata dal Pd (governo Gentiloni) e ha ricevuto una spinta decisiva quando l’Emilia Romagna guidata da Bonaccini e Schlein si è unita a Lombardia e Veneto. Cosa farà adesso? Si opporrà o cercherà un’intesa? Analoghi dubbi investono il M5S, che nella scorsa Legislatura è sempre stato al governo senza mai opporsi apertamente alle richieste delle tre Regioni “apri-pista”.
Quale è l’Italia che uscirà fuori dal progetto Calderoli?
Il ddl Calderoli vorrebbe dettare le regole generali attraverso cui attribuire alle Regioni, sulla base delle loro richieste, le nuove competenze. L’impostazione di fondo è che tutto passi per decisioni prese dal Governo statale e dalle Giunte regionali, relegando il Parlamento a un ruolo da comprimario chiamato a esprimere poco più di un parere. È la stessa impostazione prevista nella legge di bilancio 2023 per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (lep) inerenti ai diritti: nonostante la Costituzione affidi tale competenza alla legge del Parlamento, alla fine, grazie a un gioco di rimandi, tutto sarà deciso con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (se non, addirittura, da un Commissario governativo straordinario, come se definire il contenuto dei diritti fosse equivalente a ricostruire un ponte). Il punto critico, però, è che le nuove competenze vanno assegnate alle Regioni con legge e un’altra legge – come la legge Calderoli – non può vincolarne il procedimento di approvazione (potrebbe farlo una legge costituzionale, ma la sua approvazione sarebbe eccessivamente complessa per chi, come Lega, anela a risultati in tempi rapidi). Potrebbe, così, accadere, per esempio, che, nonostante il ddl Calderoli preveda che prima di assegnare le nuove competenze alle Regioni debbano essere definiti i lep validi su tutto il territorio nazionale, le Regioni più avanti nelle trattative ricevano le competenze che hanno richiesto anche in assenza dei lep.
Inizia la stagione delle manifestazioni, da Napoli e nel resto del Paese. Che mobilitazione servirà, se servirà, a sostenere le ragioni del no?
Io credo che sarà decisivo riuscire a costruire un clima generale capace di recuperare il valore dell’uguaglianza e della solidarietà, contro l’idea che le Regioni siano un valore in sé da opporre al disvalore rappresentato dallo Stato. Il regionalismo differenziato è, in fondo, il tentativo di salvarsi da sé sganciandosi dal resto del Paese, percepito come una zavorra. Non basta denunciare l’egoismo e la miopia di questa posizione, bisogna proporre una visione alternativa, in cui la giusta valorizzazione delle autonomie locali stia in equilibrio con le altrettanto giuste ragioni dell’unità. Per questo, è particolarmente interessante la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare proposta dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (Cdc), che mira intervenire sul Titolo V riportando alcune competenze dalle Regioni allo Stato ed escludendo il regionalismo differenziato da materie che devono necessariamente rimanere statali come la scuola, la salute, la sicurezza sul lavoro, la previdenza, l’energia, le infrastrutture. Tutti gli elettori possono sostenere tale proposta firmando, con lo Spid, sul sito del Cdc. Riuscire a portarla in Parlamento sarebbe un risultato importante, non solo perché segnalerebbe un’inversione di tendenza rispetto al passato, ma soprattutto perché costringerebbe le forze politiche a prendere posizione superando le ambiguità di questi anni.

Torna alle notizie in home