Attualità

Ius scholae. Come può cambiare la concessione della cittadinanza agli stranieri in Italia?

A volte ritornano. Il tentativo, finora fallito, di superare l’attuale legislazione italiana sulla cittadinanza in favore dello ius soli, dopo essersi già arenato la scorsa legislatura, ritorna attraverso la formulazione di nuovo un disegno di legge.

di Alessio Postiglione -

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Questa volta, la fantasia dei legislatori per far passare il cosiddetto ius soli temperato partorisce la nuova definizione di ius scholae. Di che cosa si tratta? La cittadinanza non andrebbe automaticamente al figlio degli stranieri, come nello ius soli, ma a chi, anche arrivando qui da altrove, ma prima dei 12 anni, ha frequentato un percorso scolastico di 5 anni. Il provvedimento è un tentativo di mediazione per superare la normativa vigente, lo ius sanguinis, per cui sono italiani solo i figli di italiani. Per la verità, oggi, in Italia, si può acquisire la cittadinanza anche se si è svolto da noi il servizio militare di leva o il servizio civile, o in presenza di antenati, per naturalizzazione o matrimonio o unione civile. Cionondimeno, la battaglia per lo ius soli – anche se temperato – ha conquistato una grande centralità nel dibattito pubblico: sarebbe la dimostrazione di una Italia più moderna, multiculturale e inclusiva, per chi ne ha fatto una questione ideologica; o un modo per sopperire al calo demografico e allargare la base contributiva dello Stato, per i più pragmatici. Con lo ius scholae, sicuramente, si allarga la maggioranza, considerando che, nella scorsa legislatura, lo ius culturae fu respinto e, lo scorso 9 marzo, oltre al centro-sinistra, anche Forza Italia ha votato il disegno di legge, che arriverà in discussione alla Camera il 24 giugno.
La verità è che ius sanguinis e ius soli sono due concezioni diverse dello Stato che convivono nel cosiddetto Stato nazione. L’idea romanistica-francese dello Stato come burocrazia neutra, collegata all’idea di una unica umanità accomunata da diritti universali, che si bilancia all’idea romantico tedesca di uno Stato come espressione di una precisa nazione, cementata da un rapporto unico e quasi mistico con il territorio e la propria cultura. Lo Stato neutrale e universale degli illuministi è così temperato dal principio di nazionalità, che rappresenta lo storytelling attraverso il quale nasce e si sviluppa il concetto di patria. Il problema è che il concetto francese doveva essere universalistico e inclusivo. Peccato che fosse anche etnocentrico: il modello migratorio francese, quello assimilazionista, è infatti fallito perché gli abitanti delle colonie non si riconoscevano nei valori universali della République, puntando a conservare gelosamente i loro costumi, e sentendosi, magari, stranieri in patria, come dimostra il pericoloso caso dei foreign fighters. Proprio il problema degli attentati post 11/9 è importante per comprendere la crisi del multiculturalismo, dello Stato indifferente a quelle questioni valoriali che ne avevano segnato la genesi all’epoca della nazionalizzazione delle masse ottocentesca. La crisi coincide con le seconde generazioni di immigrati, cresciute nei valori mondani dell’Occidente, che volgevano le spalle a tutto questo, alla ricerca di un senso di comunità diverso e più profondo, radicato nella religione, seppure attraverso letture distorte. Mentre la Germania, fedele allo ius sanguinis, fino al governo Schroeder, non integrava culturalmente i lavoratori stranieri – assorbiti solo dal mercato del lavoro, come Gastarbeiter -, d’altronde, anche le proposte anglo americane, ispirate al multiculturalismo, fallivano miseramente. Dal melting pot americano, al salad bowl canadese, al modello comunitario inglese, questi approcci hanno prodotto autosegregazione e conflitti. Particolarmente efficace, negli ultimi anni, si è rivelata invece la proposta di Onora O’ Neill. Per la O’Neill, lo Stato non può rinunciare a socializzare a un minimo di valori civili i suoi cittadini. Non è necessario per i nuovi cittadini aderire ai principi assoluti della République, ma occorre invece almeno convenire su di una serie di questioni relative, ma necessarie alla coesione nazionale. Lo ius scholae va in questa direzione, perché concede la cittadinanza a quei giovani che vengono socializzati all’italianità dalla scuola. Una sfida sicuramente, per il nostro Paese, considerando che tutti i modelli di integrazione precedenti hanno fallito. Comunque andrà, il dato è che la cultura e l’identità delle persone non sono una quisquilia che può essere superata dall’afflato ottimistico in nome della intrinseca bontà della diversità e della fiducia nel progresso. Perché, come ci ricorda il politologo Giovanni Sartori, un po’ di diversità è ricchezza, troppa è incomunicabilità.


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