musica

Kaufmann, il re dei tenori non ha più sangue latino

di Riccardo Lenzi -


Si sa che i tenori, come i soprani per le donne, sono i re al maschile dell’opera: nel dopoguerra abbiamo avuto l’era di Del Monaco e Di Stefano, poi quella di Pavarotti e Domingo. Adesso pare che il dominatore delle scene non sia più di sangue latino, ma il tedesco Jonas Kaufmann, non a caso vincitore del Premio casa museo Caruso un paio d’anni fa e dal prossimo 2 febbraio al Teatro San Carlo il pubblico napoletano avrà l’occasione per verificare le sue qualità. Paolo Isotta, come spesso accadeva, in proposito la pensava diversamente: «Siamo di fronte a un garbato tenorino che ancora se la cava bene nel “Lohengrin” ma al quale hanno fuso la testa facendogli credere di poter cantare il “Trovatore” e l’ “Aida”.

E la canzone napoletana, che per motivi di pronuncia è negata a quasi tutti: si veda il povero Pavarotti, che faceva ridere». Ma in generale pensare che qualcuno di lingua madre tedesca non possa essere un interprete di opere francesi o italiane e un italiano di quelle germaniche è erroneo. Molti hanno dimenticato che Elisabeth Rethberg, un soprano tedesco della prima parte del Novecento, era l’Aida preferita di Arturo Toscanini. E Renata Tebaldi era un’importante Elsa in “Lohengrin”, Elisabeth in “Tannhäuser” ed Eva in “Meistersinger” di Wagner, anche se ha cantato questi ruoli in italiano.

Kaufmann in un’intervista a “L’Espresso” in proposito commentò: «La musica e le emozioni sono universali e non c’è ragione valida per concentrarsi sui capolavori della propria lingua madre. Ogni artista sceglie il suo repertorio, ma riterrei una grave perdita se non mi permettessi di affrontare tutte le sfide che i grandi compositori e i loro poeti hanno lanciato a noi interpreti». Certo è pure che il suo strumento vocale non è assimilabile a quello di Luciano Pavarotti, il tipico tenore latino.

La sua è una voce sufficientemente flessibile per affrontare il repertorio lirico consueto e abbastanza scura per sostenere una scrittura più drammatica, con un registro medio-grave naturale il cui uso non compromette le note acute. «Non me la sentirei di affrontare Wagner se non fossi sicuro di possedere una voce corposa in centro e in basso, ma allo stesso tempo mi preoccupo sempre che gli acuti siano morbidi e mai spinti».

Ci vuole poco a comprendere la personalità a livello intellettuale e interpretativo di Kaufmann. È soprattutto questo, a far sì che un’esecuzione s’imprima nella memoria. Un timbro personale e dunque subito riconoscibile gioca un ruolo importante, ma è di pari importanza come lo si usa nella pulsione dinamica e nelle inflessioni che in una frase sottolineano e mettono in rilievo la parola o il fonema che si ritengono i più significativi.

Una novità per il pubblico italiano è che nel concerto di San Carlo con la voce di Kaufmann e la bacchetta di Jochen Rieder non saranno protagoniste le arie di Wagner o di Puccini, ma musiche che hanno a che fare con la storia del cinema: da quelle di John Williams per “Superman” a quelle di Nacio Herb Brown per “Cantando sotto la pioggia”, da quelle di Herny Mancini per “Colazione da Tiffany” (la celeberrima “Moon River”) a quelle di Nino Rota per “La Strada”, da “Maria” da “West Side Story” di Bernstein a quelle di Bernard Herrmann per “La donna che visse due volte” e quindi Stanley Myers, Ennio Morricone, Max Steiner, Francis Lai, Carlos Gardel, Maurice Jarre, George David Weiss e Bob Thiele. Alla base di questa scelta c’è il tentativo di rinnovare i programmi dei recital da concerto. L’operazione del cantante tedesco si coniuga con quella non tanto sottile di lanciare uno dei suoi ultimi cd, “The Sound of Movies”, uscito alla fine dell’anno scorso per la Sony.

Ma Kaufmann ci tiene molto a nobilitare e rivestire d’uno scopo intellettuale questa operazione, rivendicando il legame fra la musica classica e quella da cinema. Alla bisogna cita Eric Korngold, re delle colonne sonore a Hollywood tra gli anni Trenta e Quaranta che compose un capolavoro della lirica come “Die Tote Stadt”, di cui Kaufmann è stato protagonista all’Opera di Monaco. E Bernard Hermann, autore di colonne sonore per Hitchcock, Wells e Scorsese, che allargava il suo repertorio alla musica specificamente sinfonica.


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