Economia

Kiyosaki, il profeta del crac Lehman: “Banche ko, è la fine di mutui e prestiti”

di Giovanni Vasso -


La Banca centrale svizzera apre il portafogli e Credit Suisse si riprende facendo segnare un rimbalzo in borsa al limite del clamoroso. I dirigenti della banca avevano chiesto un segnale, tendendo la mano. È arrivata la risposta: 50 miliardi di franchi, in prestito, al secondo istituto bancario della Confederazione fanno volare il titolo e sembrano allontanare, almeno per un po’, i dubbi, le ombre, le paure. Tutto risolto, dunque. Le azioni hanno recuperato terreno, segnando aumenti nelle contrattazioni fino al 30%, stabilizzatosi ieri al 18%, dopo aver inanellato record (negativi) per settimane, tornando sopra i due franchi svizzeri ad azione. L’economia e la finanza possono tirare un sospiro di sollievo. Forse no. Perché i problemi di Credit Suisse, così come quelli che stanno venendo fuori dalla crisi che attraversa il sistema bancario tra Usa ed Europa, sono strutturali.

 

Robert Kiyosaki, che ha fatto una fortuna con i libri di auto-aiuto e di educazione finanziaria, aveva profetizzato la caduta di Credit Suisse. Le sue parole hanno un senso, e soprattutto un’eco, perché Kiyosaki, nel 2008, aveva previsto il tracollo di Lehman Brothers quando tutti consideravano la banca newyorkese più che salda. Per l’economista, il problema è legato al crollo del mercato obbligazionario. Che è dovuto, come accaduto per Silicon Valley Bank, anche alle strette sui tassi operate dalle banche centrali di tutto il mondo, dagli Usa fino all’Ue, passando per il Regno Unito. Secondo Kiyosaki, che teme si sia arrivati al punto in cui chiedere prestiti e mutui sarà praticamente impossibile, è giunto il momento di rifugiarsi altrove, di investire – come ha scritto su Twitter a poche ore di distanza dal crollo in Borsa di Credit Suisse – in oro, bitcoin o argento.

 

Se a livello globale il dibattito tra gli esperti è già innescato, in Svizzera i dubbi – più che diradarsi – si sono moltiplicati. John Plassard di Mirabaud Banqu non è sicuro che l’emergenza sia rientrata: “Credit Suisse rimane un’istituzione finanziaria globale, il che solleva preoccupazioni per il rischio sistemico e ha portato il costo dei certificati di assicurazione contro le insolvenze a breve termine a livelli allarmanti. Questo forte calo e l’aumento dello stress si sono materializzati nonostante il messaggio (apparentemente) rassicurante di Axel Lehmann, presidente del consiglio di amministrazione. Egli aveva affermato che la banca non sta prendendo in considerazione l’assistenza governativa e che sarebbe inesatto tracciare paralleli tra le sue attuali difficoltà e il crollo di Silicon Valley Bank”. Jochen Stanzl di Cmc Markets riporta dubbi e incertezze che continuano a creare turbolenze sui mercati: “Molti investitori temono che le notizie negative su Credit Suisse possano non essere le ultime. Lo spettro di un altro fallimento come quello della banca d’investimento statunitense Lehman Brothers incombe sui mercati. I dubbi al riguardo stanno contagiando una banca dopo l’altra: prima Silvergate e Svb, poi First Republik Bank. E ora Credit Suisse potrebbe essere la prossima vittima”. Finita qui? Macché. Dz Bank rivendica di aver “raccomandato la vendita del titolo dall’estate del 2021” si conferma scettica “sul successo a lungo termine della ristrutturazione della banca. Sarebbe già un compito immane in tempi normali, ora c’è anche un generale scetticismo del mercato nei confronti delle banche”. Tuttavia, gli analisti ritengono che “il sostegno fornito dalla Bnse dalla Finma va comunque accolto con favore”.

 

Arthur Jurus, Oddo Bhf, pone l’accento sul fatto che “il credit default swap (Cds), che riflette il rischio di default, è raddoppiato in una settimana a 820 punti base da 370 punti base. Il mercato stima quindi una probabilità di insolvenza superiore al 50% in cinque anni. I mercati sono preoccupati”. I cittadini svizzeri, specialmente quelli che hanno acceso un conto presso Credit Suisse, seguono con apprensione la situazione. L’opinione pubblica è divisa. L’intervento della Banca nazionale svizzera sembra aver confermato la posizione di chi sosteneva che le istituzioni si sarebbero mosse. In ossequio all’adagio finanziario del “too big to fail”, della necessità, quindi, di salvare a tutti i costi il colosso creditizio per evitare guai peggiori.

 

Intanto Bruxelles sta continuando a monitorare “con attenzione” gli sviluppi nel settore bancario e un portavoce della Commissione Ue ha spiegato all’agenzia Adn Kronos che le istituzioni comunitarie sono “in contatto con le autorità competenti europee e nazionali che hanno la responsabilità di vigilare sulle banche”. Dagli Usa arrivano dichiarazioni d’intenti analoghe. Ciò accade mentre Ammar Al Khudairy, presidente della Saudi National Bank, ha parlato all’emittente americana della Cnbc minimizzando la situazione: “Se si guarda a come è crollato l’intero settore bancario, sfortunatamente, molti hanno solo cercato scuse. È panico, un po’ di panico. Credo del tutto immotivato, sia per il Credit Suisse che per l’intero mercato”. Ma il crollo dei titoli della banca svizzera è arrivato proprio con la chiusura degli arabi a ogni ipotesi di un aumento della loro quota di capitale: “Non ci sono state discussioni con Credit Suisse sulla fornitura di assistenza. Non so da dove venga la parola assistenza, non ci sono state discussioni di sorta da ottobre. Il messaggio non è cambiato, è lo stesso da ottobre: anche se lo desiderassimo, ci sono troppe complicazioni dal punto di vista normativo”. Per il banchiere saudita, in netta controtendenza, è tutto sotto controllo e non ci si deve far prendere dal panico: “Abbiamo avuto un fallimento (Silicon Valley Bank ndr) la scorsa settimana, ma non è neanche lontanamente paragonabile a quello che abbiamo visto nel 2008. Questo è solo un incidente isolato, le autorità di regolamentazione hanno escluso ogni possibilità di ricaduta”.


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