Esteri

“La battaglia aerea già iniziata. L’Italia investi per la Difesa”

di Edoardo Sirignano -


“È già in corso una guerra aerea. I carri armati potrebbero arrivare tardi”. A dirlo l’Ammiraglio Matteo Bisceglia, direttore dell’Occar (organizzazione internazionale tra Stati europei in materia di armamenti).

Il Parlamento Ue autorizza nuovi jet per Kiev. Teme l’escalation?
Avendo la Russia predisposto i propri aeroplani al confine con l’Ucraina e avendo nei fatti iniziato l’attacco, come riferisce l’intelligence, l’Europa non poteva restare senza far nulla. A ogni azione, però, c’è una reazione. La battaglia dei cieli, intanto, è iniziata.

 

I carri armati Leopard si potrebbero rivelare inutili…
Il fatto che Kiev chieda aiuto o meglio ancora assetti che possano contrastare l’iniziativa di Mosca è assolutamente normale. Arriveranno in ritardo? Non lo so. Posso dire, però, che ci vogliono giorni per prepararli e altri per metterli in condizione di combattere. Non stiamo ordinando le noccioline al supermercato.

La popolazione locale li utilizzerà facilmente?
Stiamo parlando di mezzi che in Ucraina non si conoscono. Bisogna, quindi, tener conto del “training”. La gente per usare un carro armato deve effettuare esercitazioni. È chiaro, considerando l’urgenza, che si farà prima del previsto.

Quali sono i tempi?
Non c’è una risposta assoluta. Dipende dalle persone e dalla complessità dell’assetto. Il carro armato, nei fatti, è un cannone che si muove. I tempi, certamente, sono più brevi rispetto a quelli impiegati per comprendere l’utilizzo di una nave o di un aereo.

 

L’aereonautica russa, intanto, potrebbe già aver raso al suolo tutto?
Nessuno sa se farà realmente un’offensiva su larga scala. Se attaccherà entro la prossima settimana, quanto deliberato sino a ora, sarà insufficiente. Al contrario, se ci sarà un’azione tra qualche settimana gli ucraini probabilmente saranno in condizione di reagire, cioè sapranno usare al meglio quanto inviato da Usa e Europa.

 

Per Crosetto l’Italia spende troppo poco in difesa. È d’accordo?
Siamo un Paese che ha sempre investito abbastanza poco. Il 2 per cento è un obiettivo che dovrebbe essere soddisfatto entro una certa data. In condizioni di emergenza, bensì, non ci sono scadenze, né percentuali. La Germania, ad esempio, ha alzato il livello di investimenti in modo piuttosto consistente. Medesimo ragionamento vale per la Francia, arrivata al 3,74 per cento. Se guardiamo questi numeri, il ministro Crosetto ha ragione a dire che la spesa è poca. Detto ciò, bisogna tener conto che non basta dedicare delle risorse per dire di essere pronti. Un caccia non spunta come un fiore.

 

La guerra in Ucraina, intanto, svuota i magazzini nazionali…
Tale affermazione va presa con le pinze. L’Italia, come le altre nazioni, non può svuotare i propri depositi. Può al massimo dare un contributo. Il minimo indispensabile per le nostre esigenze di difesa deve essere obbligatoriamente rispettato. Non esiste nazione tanto folle da restare indifesa.

 

Da anni si parla di esercito europeo. A che punto siamo?
Purché questo avvenga occorre che l’Europa, in quanto identità unica, abbia gli stessi kit di aerei, navi e missili. Mettere insieme assetti differenti è complicato. L’esercito europeo, l’aereonautica o la marina è solo il finale di un film. Usare medesimi sistemi, prevedere esercitazioni comuni è il punto di partenza. Solo quando ci sarà l’interscambio si potrà andare avanti. Questo, oggi, non c’è. Prendiamo, ad esempio, il navale. L’Italia ha un tipo di fregate, la Spagna un altro. Come realizzare un addestramento comune, uno scambio di forze? Se non ci sarà un’industria europea della Difesa, difficilmente si raggiungerà l’obiettivo.

 

Siamo, quindi, indietro?
La domanda che dovremmo porci è quella relativa alla cooperazione tra le varie industrie del settore. Quale il livello di ambizione delle singole nazioni? Bisogna capire soprattutto quanto la politica sia realmente determinata a produrre gli stessi armamenti.

 

La guerra ha velocizzato il tutto?
Ha aumentato la sensibilità sul tema. Si avverte una necessità. Se l’Europa vuole diventare un Paese unico, federato, occorre che abbia una dottrina di Difesa e Politica Estera simile. Altrimenti sono solo parole.

 

Secondo la sua esperienza, quando finirà un conflitto, che ricorda sempre più il Vietnam?
I tempi, a mio parere, non sono brevi. L’inverno ha rallentato le operazioni. Le condizioni atmosferiche condizionano e non poco la battaglia. Non possiamo dire che la guerra finirà tra qualche settimana. Quando arriverà la primavera, poi, bisognerà capire il sostegno che Zelensky avrà. Più sarà supportato, più le ostilità dureranno. La Russia non ha alcuna intenzione di arrivare a una risoluzione pacifica.

Mosca può ancora vincere la guerra?
La Russia, al massimo, è nella condizione di perdere, avendo iniziato il conflitto il 24 febbraio del 2022. Per un’operazione, che doveva durare pochi giorni, nei fatti si è impiegato quasi un anno. Fare qualsiasi previsione, pertanto, è difficile. Molto dipenderà dalla reazione dell’opinione pubblica di Mosca.

 

Nel caso in cui dovesse esserci una rivolta interna, Putin potrebbe usare quelle armi che non dovrebbero essere mai utilizzate e chiudere subito la pratica…
Secondo il principio di Newton, a ogni azione corrisponde una reazione. Se la Russia adotta un’azione di controffensiva su larga scala, bisognerà capire quale sarà il livello di supporto dell’Occidente. Se è consistente, non so cosa succederà. Una cosa è certa, utilizzare il mezzo nucleare è pericoloso per chiunque. Una ciliegia tira l’altra. I russi lo sanno e quindi saranno i primi a fare in modo che questa strada non venga mai intrapresa. Detto ciò, potrebbero ampliare i bombardamenti, radere al suolo quel che è rimasto dell’Ucraina. Quando arriveranno i carri armati occidentali potrebbero esserci solo macerie.


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