Esteri

La Bce cancelli i debiti degli Stati

di Mariagrazia Biancospino -


L’appello firmato da oltre cento economisti europei

Pubblichiamo la proposta, elaborata da un gruppo di economisti francesi e già sottoscritta da oltre 100 loro colleghi (fra i quali Laurence Scialom,  Gaël Giraud, Thomas Piketty, Leonardo Becchetti  di vari Paesi europei (Francia, Italia, Germania, Irlanda, Belgio, Spagna, Lussemburgo, Svizzera,  Svezia, Portogallo, Grecia, Ungheria, Inghilterra) di cancellazione del debito degli Stati in carico alla Bce, questione tornata al centro del dibattito europeo. 

 

Il dibattito sulla cancellazione dei titoli di debito pubblico detenuti dalla Bce conosce un forte interesse pubblico in Francia, ma anche in Italia, nel Lussemburgo, in Belgio, nei corridoi delle istituzioni europee, presso gli stessi rappresentanti della Bce e dei diversi ministeri delle finanze della zona Euro. Questo dibattito è sano ed utile. Per la prima volta dopo molto tempo, la posta in gioco monetaria è oggetto di dibattito pubblico. La moneta cessa per un momento di essere un oggetto sottratto alla deliberazione collettiva e consegnato ad una banca centrale indipendente dai poteri pubblici, ma dipendente dai mercati finanziari. I cittadini scoprono, con sconcerto per alcuni di loro, che quasi il 25% del debito pubblico europeo è oggi detenuto dalla loro banca centrale. Dobbiamo a noi stessi il 25% del nostro debito. Se rimborsiamo questa somma, dovremo trovarla altrove prendendola nuovamente in prestito per far girare il debito invece di investirla oppure aumentando l’imposta oppure abbassando la spesa. Eppure ci sarebbe un’altra soluzione. In quanto economisti, responsabili e cittadini impegnati nei diversi paesi, è nostro dovere sollecitare l’opinione pubblica sul fatto che la Bce potrebbe offrire agli Stati europei i mezzi per la loro ricostruzione in chiave ecologicamente sostenibile, ma anche riparare la frattura sociale, economica e culturale dopo la terribile crisi sanitaria che stiamo attraversando. Non neghiamo che gli stati siano intervenuti e che misure di protezione non siano state adottate ma riteniamo che queste restino ancora insufficienti. Il piano di rilancio europeo fondato di uno stanziamento di 300 miliardi di euro nell’arco di tre anni, è ben lontano dai 2.000 miliardi di euro richiesti dal Parlamento europeo. È necessario ricordare che nel 2018, ben prima della crisi sanitaria, la Corte dei conti europea indicava già un fabbisogno minimo di 300/400 miliardi di euro d’investimenti supplementari all’anno per finanziare la transizione ecologica in Europa. Siamo ben lontani da quanto auspicato, ancora di più considerando l’impatto della crisi sanitaria. Non intendiamo prendere alla leggera il tema dell’annullamento del debito pubblico, quand’anche riferito solo a quello detenuto dalla Bce. Sappiamo che eventi di cancellazione del debito sono momenti storici del tutto eccezionali e fondativi. Tale fu il caso della conferenza di Londra del 1953, quando la Germania beneficiò della cancellazione di due terzi del suo debito pubblico che gli permise di ritrovare il cammino della prosperità ancorando il suo futuro nello spazio europeo. L’Europa non attraversa forse una crisi di dimensioni eccezionali che giustificherebbe misure altrettanto eccezionali? Per fortuna, e diversamente dal caso storico citato, abbiamo la fortuna di avere un creditore che non ha certo paura di perdere il suo denaro: la Bce. La nostra proposta è semplice: sigliamo un accordo tra gli Stati europei e la Bce. Quest’ultima si impegnerà a cancellare il debito pubblico che detiene (o a trasformarlo in debito perpetuo senza interessi), mentre gli Stati si impegneranno a investire lo stesso importo nella ricostruzione ecologica e sociale. Stiamo parlando di 2.500 miliardi per l’Europa nel suo complesso. Bastevoli a rispondere alle richieste del Parlamento europeo e soprattutto a salvaguardare l’interesse generale. Non vi è dubbio che la Bce possa permettersi una simile azione. Come riconosciuto da un gran numero di economisti, anche tra coloro che si oppongono ad una tale risoluzione, una banca centrale può funzionare con fondi propri negativi senza difficoltà. Può addirittura emettere moneta per compensare queste perdite: ciò è previsto dal protocollo n°4 accluso al trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Inoltre, giuridicamente e contrariamente a quanto affermano alcuni responsabili delle istituzioni, in particolare in seno alla Bce, l’annullamento non è esplicitamente proibito dai trattati europei. Tutte le istituzioni finanziarie a livello mondiale possono deliberare una rinuncia ai loro crediti – e la Bce non fa eccezione – d’altro canto, il temine ‘annullamento’ non figura né nel trattato né nel protocollo sul sistema europeo delle banche centrali (Sebc). Potrebbe dunque essere interpretata come contraria allo spirito del trattato, ma non si potrebbe esser detto lo stesso una misura oggi molto ben accettata come il Quantitative Easing voluto da Mario Draghi? Ciò dimostra che in questo ambito solo la volontà politica conta: la Storia ha dimostrato a più riprese che le difficoltà giuridiche spariscono a fronte degli accordi politici. Occorre chiarire un malinteso: è ovvio che l’annullamento del debito detenuto dalla Bce, anche a condizione di un reinvestimento, non possa essere considerata la soluzione unica dirimente in materia di politica macroeconomica. Innanzitutto la Bce non interverrebbe se non per liberare il margine di manovra fiscale e non investirebbe quindi direttamente. Alcuni pensano che i tassi di interesse deboli o negativi siano sufficienti a spingere gli Stati ad indebitarsi, ma non è ciò che dimostra la riduzione costante del livello di indebitamento pubblico medio nell’Unione tra il 2015 – anno In cui sono apparsi per primo tassi sul debito negativi, e l’inizio della crisi sanitaria. Molti stati hanno preferito ridurre il debito invece che indebitarsi per investire, malgrado i tassi negativi. Perché l’atteggiamento dei governi dovrebbe cambiare proprio ora?

Il patto stretto tra gli Stati e la Bce impedirà questa strategia di fuga di fronte alle responsabilità. Ma non ci si dovrà accontentare di ciò: sono necessarie altre misure in materia di riforma dei criteri di debito e deficit, di protezionismo ecologico e solidale, di riforme fiscali che abbiano come obiettivo la riduzione delle disuguaglianze e l’orientamento dei comportamenti collettivi, d’impulso dato alle banche d’investimento e di riforme relative agli aiuti di Stato. Una nuova governance europea, in particolare attraverso il passaggio ad una maggioranza qualificata in materia fiscale, deve essere messa in opera.  L’Europa non può più permettersi di essere bloccata sistematicamente dalle proprie stesse regole. Altri stati nel mondo, come la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti, utilizzano al massimo la loro politica monetaria, in appoggio alla politica fiscale. La Banca del Giappone si spinge fino ad utilizzare il proprio potere di creazione monetaria per acquistare azioni direttamente sul mercato attraverso fondi di investimento a gestione passiva (Etf), diventando così il più grande investitore del paese. Dobbiamo riflettere a servirci del potere di creazione monetaria della Bce per finanziare la ricostruzione ecologica e sociale, sotto il controllo democratico. La cancellazione da parte della Banca Centrale Europea del debito che detiene, in cambio di investimenti pubblici, costituirebbe il primo segnale forte della riconquista, da parte dell’Europa, del proprio destino.

 


Torna alle notizie in home