La benedizione Apostolico ai migranti che divide i giuristi
Niente di nuovo sul fronte migranti (e giustizia). La giudice Iolanda Apostolico ha deciso di non convalidare i trattenimenti nel Cpr di Pozzallo per quattro migranti tunisini. Nulla di nuovo perché la decisione conferma quella presa in una prima sentenza. Nulla di nuovo perché anche altri due colleghi – di Catania e di Firenze – non hanno convalidato altri trattenimenti con le stesse motivazioni della discussa Apostolico, finita nell’occhio del ciclone dopo la pubblicazione del video in cui la si vede partecipare, ad agosto 2018, alla manifestazione di protesta contro la decisione dell’allora ministro dell’Interno Salvini di non far sbarcare 150 profughi dalla nave Diciotti. Video di cui non si conosce la provenienza, ma che è stato pubblicato prontamente sui social del vicepremier. La motivazione della giudice in merito alla sentenza spiega che “Il trattenimento di un richiedente protezione internazionale per le direttive europee, costituendo una misura di privazione della libertà personale, è legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge”. Una sentenza gemella che spinge la maggioranza a chiedersi “Giustizia o politica?”. La Lega chiede anche “che la giudice rinunci ad occuparsi dei casi di opposizione al decreto del governo”. Perché nel proprio ruolo Apostolico non è considerata più super partes o perché, emettendo sentenze “contrarie” al governo la sua può essere considerata una lotta politica? I dubbi emergono in doppia veste: in primis la giudice potrebbe aver perso il proprio status di imparzialità a causa della manifestata “avversità” nei confronti Salvini e delle sue politiche ed essere finita sotto la lente nella longeva battaglia alle toghe rosse. In secondo luogo, tuttavia, la giudice non ha agito arbitrariamente, non ha commesso errori nel proprio esercizio, ma ha applicato il diritto (non a caso molti colleghi hanno manifestato solidarietà). Un caso che dimostra l’inefficiente sistema di coesistenza tra giustizia e politica, colpevole di non evitare interferenze tra l’una e l’altra. Ora Piantedosi annuncia che la sentenza sarà impugnata. La lotta continua, ma l’idea di una riforma sembra lontana.
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