Cultura & Spettacolo

La breccia di Roma

di Redazione -


 

Nel libro di Claudio Fracassi: le passioni, gli inganni, il papa, il re, i racconti dei cronisti inviati da tutta Europa per seguire l’impresa; i giornali a Roma, prima e dopo il 20 settembre 1870

 

Che cosa è successo, esattamente, il 20 settembre 1870, quando i bersaglieri entrarono nella Roma papale dalla Breccia di Porta Pia? Una consolidata retorica ha celebrato la conquista della patria italiana unita. La propaganda clericale ha condannato l’«oltraggio» alla Chiesa e al papa. Claudio Fracassi nel libro “La Breccia di Roma” (Ed. Mursia) si preoccupa di ricostruire i fatti. come si viveva nella Roma di Pio IX? Quali erano i ricchi, come si arrangiavano i poveri, che ruolo avevano il clero e i protettori armati stranieri? Com’era organizzato lo Stato papale, il più antico (e il più famoso) del mondo? Quella del Venti settembre non fu un’epica guerra, ma la battaglia sanguinosa di una mattinata. Eppure ebbe in Italia e nel mondo un’eco enorme.

La riscoperta delle vicende quotidiane nei palazzi del potere e nelle vie della città, oscurate a lungo dai fumi dell’ufficialità, serve a cogliere il grande senso storico della Breccia, dopo 150 anni, e forse anche a interpretare la capitale di oggi. Hanno aiutato l’Autore, nella sua affascinante narrazione, non solo i documenti, ma anche i racconti dei giovani e curiosi cronisti spediti in quei giorni da tutta Europa a seguire l’avventura di un papa, di un re, di una città da liberare. Fracassi scrive che, nei giorni precedenti la “Breccia” di Roma, i cronisti cercavano disperatamente, ogni sera, le stazioni del telegrafo, per raccontare all’Italia e al mondo i pochi eventi bellici, fornire le indiscrezioni e le novità sul percorso dei militari verso Roma e, soprattutto, per descrivere i centri abitati e il paesaggio. Gli inviati al seguito dei bersaglieri facevano concorrenza, in qualche modo, ai corrispondenti che seguivano stabilmente da Roma quella straordinaria stagione europea di intrighi e di mutamenti. Si trovarono insieme così, annota Fracassi, nelle stesse trattorie o sulla stessa carrozza, diretti a Roma, Carlo Arrivabene, conte e deputato, che lavorava come corrispondente del “Daily Telegraph”, Ugo Pesci, ventottenne, inviato del “Fanfulla” di Firenze, Edoardo Arbib (“Gazzetta del Popolo” di Firenze), Roberto Stuart (“Daily News”) ed Edmondo De Amicis, ventiquattrenne, inviato per “Italia militare”, alla sua prima missione giornalistica.

L’occasione, in quei giorni cruciali, era giornalisticamente ghiotta. Ma le notizie erano poche e spesso inaffidabili. Nessuno al vertice – né generali né il governo – aveva le idee chiare su come la campagna militare sarebbe stata condotta e conclusa. I giornalisti al seguito della spedizione, in mancanza di particolari eventi di guerra si dedicarono a pezzi di “colore”. Quando non si limitavano a occuparsi del “colore” si scontravano con il controllo, e con le lamentele, del generale Cadorna che si dolse apertamente dei giornalisti al seguito della spedizione. Prima del Venti settembre, a Roma, uscivano ogni mattina due giornali: il “Giornale di Roma”, foglio ufficiale del governo pontificio e  l’“Osservatore Romano”, emanazione del Vaticano. Il “Giornale”, nei giorni cruciali della vigilia della Breccia, si era limitato ad annunziare l’arrivo, a Roma da Firenze, del conte Ponza di San Martino, latore di una lettera di Vittorio Emanuele a Pio IX, e a pubblicare qualche scarsa notizia sui movimenti dell’esercito “invasore” nel Lazio. Il 19 settembre, alla vigilia della battaglia di Porta Pia, i lettori venivano informati del fatto che la pubblica tranquillità continuava a essere “ammirevole”. Dopo il Venti settembre l’ “Osservatore”, aveva mantenuto, sotto la testata, il suo motto storico “non praevalebunt”. Sul versante papalino fece presto ingresso sul mercato un giornale finanziato dalla Società Romana che curava gli interessi economici vaticani. La testata era la “Voce della verità”. Altri giornali collocati nella stessa area, oppositori del nuovo governo di Roma, erano “Il Buonsenso” e “L’Imparziale”. Uscirono poi a Roma, emanazione del circolo di prelati raccolto attorno a Pio IX, “La Stella”, “La Luna” (settimanale), “La Vergine” (bisettimanale) e una serie di fogli religiosi (talvolta di polemica politica). A contrapporsi alla propaganda clericale vi erano nuovi fogli. Rinacque, ma durò poco, “Don Pirlone”, che presto perse la sua storica autorevolezza e si trasformò, anche a causa delle querele collezionate, nel “Don Pirloncino”. Si vendevano anche “Il Pipistrello”, il “Pasquino”, “La lima” e “La raspa”. Questo tipo di giornali era soprattutto per il diffuso analfabetismo, che lasciava spazio alla comunicazione, attraverso i disegni e le vignette. Sul versante più istituzionale, erano venduti a Roma la “Gazzetta del Popolo” (sul primo numero scrisse Edmondo De Amicis, arrivato nella capitale per “L’Italia militare”, al seguito delle truppe di Cadorna), “L’Opinione”, influente anche in Europa per le sue corrispondenze diplomatiche, e il “Fanfulla”. Nacque, anni dopo, come giornale ricco di notizie di Roma, “Il Messaggero”. Videro la luce nei mesi dopo la Breccia, qualificati come giornali “di sinistra”, “L’Italia nuova” e “Il Paese”. Erano sul mercato anche “Don Chisciotte”, giornale umoristico, e “La Capitale”, fortemente anticlericale. Claudio Fracassi è stato direttore del quotidiano «Paese Sera» e del settimanale «Avvenimenti». Studioso di storia e dei meccanismi dell’informazione, ha pubblicato  La meravigliosa storia della Repubblica dei briganti. Roma 1849 (2005),  La ribelle e il Papa Re (2009), Il romanzo dei Mille (2010), La battaglia di Roma 1943. I giorni della passione sotto l’occupazione nazista (2013) e Cola di Rienzo. Roma, 1347. La folle vita del rivoluzionario che inventò l’Italia (2017).

 

Mauro De Vincentiis

 


Torna alle notizie in home