Politica

Alla Camera si discute di Gaza, bandiere palestinesi dentro e fuori l’Aula

di Giuseppe Ariola -


Aiutati che Dio ti aiuta, recita un celebre proverbio. Ma di aiutarsi Israele sembra proprio non volerne sapere o, forse, si sente Dio. Fatto sta che la notizia del fuoco aperto dall’Idf a Janin durante la visita di una delegazione Ue irrompe in una giornata parlamentare già contraddistinta dai toni decisamente alti che si sono registrati alla Camera in occasione della discussione delle mozioni su Gaza. L’avvio della seduta ha coinciso con un sit-in organizzato appena fuori da Montecitorio dove un centinaio di sostenitori degli sfollati dalla Striscia di Gaza si è raccolto dietro un grosso gonfiabile che replicava la bandiera della Palestina. Lo stesso vessillo che è stato esposto a più riprese anche in Aula durante l’esame dei documenti sul Medioriente prima che, come da regolamento, il presidente di turno, Fabio Rampelli, ne ordinasse la rimozione. Lo stesso vicepresidente della Camera, al termine della seduta, ha poi tenuto a chiarire di nutrire il “massimo rispetto però per la bandiera della Palestina che spero possa presto sventolare nei luoghi giusti e nel silenzio delle armi”.
Una posizione che ricalca il contenuto di tutte e quattro le mozioni discusse ieri nelle quali si fa espresso riferimento a due Stati, uno di Israele e l’altro di Palestina, all’esigenza di una pace duratura in Medioriente e a quella di una pronta ripresa dell’assistenza umanitaria della popolazione di Gaza. A grandi linee i documenti miravano a impegnare il governo sugli stessi punti, ma le differenze sia nella forma che nella sostanza hanno visto l’approvazione della sola mozione di maggioranza e di solamente uno dei punti di quella presentata da Italia Viva. E quanto presente nei documenti si è puntualmente trasposto nel dibattito che si è svolto nell’emiciclo. Ricalcando il contenuto della mozione congiunta di Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra nella parte in cui si chiedeva al governo di dare “piena attuazione ai mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale”, Giuseppe Conte si è scagliato contro “i ministri che sono volati a Tel Aviv a stringere le mani sporche di sangue di Netanyahu, il criminale che guida Israele”. Più o meno gli stessi toni utilizzati anche da Nicola Fratoianni ed Elly Schlein, secondo la quale, è l’accusa rivolta direttamente alla premier Giorgia Meloni, “restare immobili di fronte ai crimini di guerra” perpetrati del governo israeliano “ci rende complici e ci disonora sul piano internazionale”.


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