Attualità

La Capannina a Giorgio Armani: un gesto d’amore e celeste nostalgia

di Alessandra Iannello -


La Capannina a Giorgio Armani: un gesto d’amore e celeste nostalgia

C’è un rumore che non se ne va: quello degli zoccoli sulla passerella di legno, dei bicchieri lasciati a metà sul tavolo, della musica che non è mai stata solo sottofondo ma colonna sonora di un’epoca. La Capannina di Forte dei Marmi è un pezzo di memoria nazionale, e oggi passa di mano.

Giorgio Armani l’ha acquistata, non come speculatore ma come uomo che restituisce un debito alla propria storia. Non si comprano quattro pareti, quando si vuole comprare un simbolo.
Fondata nel 1929 da Achille Franceschi, La Capannina è stata prima esperimento, poi leggenda. Un capanno sulla spiaggia, un grammofono a manovella e qualche tavolino: bastò poco per fare di un rifugio da bagnanti il salotto della Versilia.

Qui passarono poeti e intellettuali, qui il dopoguerra lasciò cadere l’illusione della ricostruzione nel fruscio dei vestiti da sera. Negli anni d’oro, tra i Sessanta e i Settanta, ogni estate era una dichiarazione: Ray Charles e Grace Jones sul palco, la borghesia italiana nei tavoli migliori, e una gioventù che voleva ballare e vedersi riflessa nei fari. Io ricordo le prime uscite da adolescente. Otello alla porta: “Non dovresti, ma entra: sei la fotocopia di tuo nonno Marcello”. Entravo e vedevo il beau monde apparecchiato in pista e seduto ai tavoli.

È in questa cornice che Giorgio Armani incontrò Sergio Galeotti. Versilia come culla di un sodalizio destinato a cambiare la moda italiana. Non è romanticismo, è cronaca: due ragazzi che in una Capannina affollata immaginavano un mondo nuovo, e lo hanno creato. Non stupisce che oggi Armani torni qui, da protagonista di un’altra storia, con la stessa emozione di allora.

L’operazione è stata definita un “gesto affettivo”. Lo è, ma ridurla a sentimentalismo sarebbe un errore. Armani non ha mai avuto bisogno di simboli da vetrina: ha scelto questo luogo perché sa che l’eleganza non vive solo negli abiti, ma anche nei luoghi che li hanno ispirati. La Capannina è stata un laboratorio sociale, un osservatorio di vanità e ambizioni, un palcoscenico dove si è costruita l’Italia che voleva apparire e appariva benissimo. Oggi il sindaco di Forte dei Marmi parla di ritorno agli antichi fasti. Magari. Ma fasti non se ne ricreano a comando. Ciò che resta è un patrimonio di atmosfere e storie, ed è lì che Armani ha deciso di mettere mano.

C’è chi immagina la Capannina del futuro come museo vivente, chi come club esclusivo, chi come ritorno agli anni ruggenti. Forse sarà tutto questo insieme. Quello che conta è che a custodirla ci sia un uomo che sa cosa significhi dare forma all’immateriale. Armani non ha bisogno di Versilia, ma la Versilia aveva bisogno di lui: qualcuno che le ricordasse che l’eleganza non si improvvisa ma si coltiva.
La scena che immagino, non ha violini né tramonti da cartolina. È fatta di odore di mare che non se ne va, di legno consumato e di una malinconia che non si può lavare via con la ristrutturazione. Armani entra, guarda, ascolta. E capisce che la vera eredità di un luogo come questo è il silenzio che resta quando la musica si spegne. Quello sì, è ancora capace di emozionarlo.


Torna alle notizie in home