Politica

LA COMPAGNA GIORGIA

di Domenico Pecile -


Discontinuità. Netta, decisa. Non soltanto nei confronti degli avversari politici e soprattutto dell’era-Draghi, ma anche rispetto alla sua coalizione. È lei infatti la prima donna premier di un governo di centrodestra a partecipare al congresso nazionale della Cgil. Non solo, ma dopo 30 anni un presidente del Consiglio italiano torna sul palco del congresso del sindacato rosso, pur consapevole di essere distante anni luce dalla visione politica dalle idee che sarebbero rimbalzate dal palco che ieri l’ha ospitata a Rimini. Discontinua e determinata. “Non so che accoglienza aspettarmi, in ogni caso penso che sia giusto che ci sia. Sono abituata ai fischi da quando ho 16 anni”, aveva confidato. “Questo congresso – aveva aggiunto – è un esercizio di democrazia e partecipazione che non può lasciare indifferente chi ha responsabilità decisionali e chi come me sa quanto questi eventi tengano vive queste dinamiche”. E appena è salita sul palco dalla platea è partito il coro “Bella ciao” da parte di alcuni partecipanti alle assise che subito dopo hanno abbandonato la sala. Molti anche i peluche colorati in evidenza in sala, un rifermento alla strage dei migranti di Cutro. A guidare la protesta è stata Eliana Como, che già giovedì aveva mostrato uno striscione con la scritta ”Meloni pensati sgradita”, ispirandosi a Chiara Ferragni e al suo “pensati libera” mostrato sul palco di Sanremo. Immediata e tranchant la replica del premier: “Ringrazio anche chi mi contesta”, e “non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica”. Poi, via al suo intervento. “Sono contenta di leggere nella relazione della Cgil – ha affermato – che non è un sindacato di opposizione, perché verrebbe da dire: figuriamoci se lo fosse. Nel senso che in oltre due ore di relazione non ho trovato nulla di quello che il Governo ha fatto finora su cui la Cgil sia d’accordo, salvo un riferimento al patto per la terza età”. Durante tutto il suo discorso nessuno l’ha interrotta e ha anzi strappato un applauso quando ha condannato “la violenza politica”. “Inaccettabile – aveva rimarcato – l’attacco di estrema destra alla Cgil. Voglio anche ricordare Biagi, fra due giorni ricorre l’anniversario dell’assassinio da parte delle Br, un uomo che ha pagato con la vita”. Riconoscimento al sindacato che “si è sempre impegnato nella lotta al terrorismo”, ma anche preoccupazione giacché “credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica fosse finito e invece, in questi mesi, purtroppo mi pare che siano sempre più frequenti i segnali di ritorno alla violenza politica”. Ma sulla difesa delle scelte economiche del Governo – anche le più recenti come quella dell’altro ieri varate dal Cdm sul fisco – nessun tentennamento o paura di sfidare una platea ostile, niente ripensamenti. Anzi, la Meloni ha rivendicato con forza le opzioni del suo esecutivo. “Lavoriamo – ha sottolineato – per consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l’efficienza della struttura delle imposte, riduce il carico fiscale e contrasti l’evasione fiscale, che semplifichi gli adempimenti e crei un rapporto di fiducia tra lo Stato e il contribuente”. E ancora: “Vogliamo usare la leva fiscale come strumento di crescita economica, una riforma che guarda con molta attenzione al lavoro, con interventi sui redditi meno bassi e novità per i dipendenti”. La Meloni ha poi affondato il ragionamento sottolineando che “noi veniamo da un mondo in cui ci si è detto che la povertà si poteva abolire per decreto. Che il lavoro si poteva creare per decreto. Se fosse così dovrebbe essere lo Stato a creare ricchezza, ma non è così”.
E dunque, “la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori. Lo Stato deve creare regole giuste e redistribuire. Mettere aziende e lavoratori nelle condizioni di creare ricchezza che si riverbererà su tutti”. E, naturalmente, non poteva mancare la disanima sul salario minimo, bocciato dal premier che invece caldeggia l’estensione della contrattazione collettiva. Il reddito di cittadinanza – ha tuonato il premier – “ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo assieme politiche sociali e politiche attive del lavoro”. Insomma, per la Meloni non ci possono essere lavoratori di serie A e di serie B, “chi merita una delega sindacale e chi no”. Poi, l’apertura: “Uno dei grandi temi sui quali possiamo provare a lavorare assieme è un sistema di ammortizzatori sociali universali che tuteli allo stesso modo chi perde il lavoro, sia esso un lavoratore dipendente, autonomo, o cosiddetto atipico. Dare tutte le migliori garanzie possibili ma che siano le stesse. Garantire gli stessi diritti. Non garantire una cittadella di garantiti”. Posizioni nette, incontrovertibili, ma che non chiudono al confronto: “Con questa presenza, con questo confronto, questo dibattito possiamo autenticamente celebrare l’unità nazionale. La contrapposizione è positiva, ha un ruolo educativo, l’unità è un’altra cosa, è un interesse superiore, è il comune destino che dà senso alla contrapposizione”.

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