Nel magico mondo delle favole, la premier italiana Giorgia Meloni dovrebbe smarcarsi subito e totalmente dagli Stati Uniti, imboccando la strada di un non meglio precisato “sovranismo”, invocato persino da ambienti del centro-sinistra, seppur con termini diversi.
Le illusioni e la realtà
L’esecutivo italiano, ripetono le opposizioni a ritmo ormai quotidiano, è troppo appiattito sulle posizioni statunitensi. Come se i precedenti avessero avuto una postura diversa. Quelli più dotati di fantasia arrivano anche ad immaginare un posizionamento dell’Italia in blocchi alternativi a quelli dell’Ue e della Nato, con tripli salti carpiati tra continenti e sfere d’influenza. Poi però i sogni finiscono, anche quelli mattutini ad occhi aperti, e tutti inzuppati di sudore ritornano all’amara realtà.
I vincoli dell’Italia con gli Stati Uniti
Lungi da noi voler rovinare l’umore a qualcuno, ma forse è il caso di ricordare che la “cobelligeranza” con gli Alleati nel 1943, il Piano Marshall, di cui l’Italia fu tra i principali beneficiari, e l’adesione alla Nato nel 1949, che consolidò la funzione di Roma nella strategia statunitense durante la Guerra Fredda, non furono esattamente accordi filantropici, a costo zero e a tempo determinato. Senza dimenticare il Trattato bilaterale Italia-Usa del 1954. In Italia ci sono circa 120 basi Usa. Alcune ospitano armi nucleari (Aviano e Ghedi, per esempio). Attualmente, oltre 12mila militari americani sono dislocati in diverse strutture sparse su tutto il territorio nazionale.
La posizione italiana
Se si escludono occasionali tensioni, come la crisi di Sigonella del 1985, con il sussulto di orgoglio dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi nella notte tra il 10 e l’11 ottobre, la cooperazione politica e militare “sbilanciata” italo-statunitense non è mai cessata. La posizione geografica dell’Italia, al centro del Mediterraneo, la rende un “tassello” strategico essenziale per la sicurezza transatlantica e per le operazioni militari statunitensi. Il Belpaese rappresenta una piattaforma ideale per il controllo del Mediterraneo e per la proiezione della superpotenza americana verso il Nord Africa, il Medio Oriente e l’Europa dell’Est, da qualche anno ribattezzata “fianco orientale”.
Qualche imbarazzante precedente
Mantenere un equilibrio tra gli interessi europei e transatlantici è difficile, ma al tempo stesso necessario se si vuole evitare che l’Italia venga percepita come troppo vicina o distante da una delle due “aggregazioni”. A chi propone soluzioni salvifiche da sinistra, ci permettiamo di rammentare le gesta di un certo Massimo D’Alema, recentemente avvistato ad una parata in Cina, che si disse favorevole all’uso delle basi italiane e all’impiego dell’esercito contro Belgrado in cambio del sostegno Usa per diventare presidente del Consiglio al posto di Prodi.
A seguito della decisione della Nato e del presidente statunitense di allora, il democratico Bill Clinton, il nuovo governo D’Alema (21 ottobre 1998 – 26 aprile 2000) autorizzò l’utilizzo dello spazio aereo italiano e mise a disposizione cacciabombardieri e caccia intercettori per le operazioni aeree. Si trattò del secondo intervento militare italiano a carattere offensivo dalla fine della seconda guerra mondiale (il primo era stato la guerra del golfo contro l’Iraq nel 1991). Qualche “lampo” c’è stato durante i primi tre dei quattro governi Berlusconi, ma non si è mai potuto parlare di una vera e propria autonomia strategica. Il 16 novembre 2011 non nacque dal nulla.