La crisi del Nordafrica: lo scontro politico e la proposta dei contractors
Refugees just arrived from Turkey on the boat to the shore of the Greek island of Lesbos. Abandoned belongings and life jackets on the shore of the island of Lesbos, which was previously used by the refugees. November 2015
EUROPA INTERMITTENTE – La crisi del Nordafrica e lo scontro politico inutile e la proposta dei contractors che piace ai vertici militari
Berlino fa marcia indietro: ha annunciato l’obiettivo di riaprire le procedure di accoglienza dei migranti che arrivano dall’Italia in ossequio al Trattato di Dublino, procedure che erano state stoppate nei giorni scorsi dopo il boom di sbarchi a Lampedusa. Il premier Meloni scrive per invitare la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ad andare a Lampedusa per accertarsi de visu sulla drammatica situazione. Domani il tema approderà in Cdm con l’obiettivo di adottare “misure straordinarie per fare fronte al numero di sbarchi sulle nostre coste”. Sarà pure dato mandato alla Difesa di realizzare nel più breve tempo possibile nuove strutture per migranti. E se Lampedusa scoppia, la rotta Balcanica non si ferma con buona pace degli accordi con Istanbul. C’è preoccupazione anche in Austria, mentre i Paesi di Visegrad sono pronti ad alzare altri muri. L’Ue palesa ritardi, naviga a vista e mette in luce una volta di più un approccio scaricabarile ai danni dell’Italia. E l’elenco potrebbe continuare per figurare una crisi che fin qui nessuno sembra in grado di governare e le cui ipotetiche soluzioni paiono sempre più spesso tentativi e rattoppi se non scontati proclami ideologici. Servirebbe, invece, coraggio e la voglia di rivoltare come un calzino l’approccio al problema.
Oggi come oggi non c’è uno Stato, un organismo sovra nazionale e internazionale, un leader in grado di indicare una ricetta vera, ma soprattutto nuova. Anche Meloni paga lo scotto di accordi (nella fattispecie quello recente con la Tunisia) che vengono poi filtrati dalle politiche dell’Ue che agiscono spesso in modi ideologici a seconda di chi è l’interlocutore da assecondare. Si scopre allora che Saied attende ancora i fondi promessi e bloccati da Bruxelles. Il premier italiano sa perfettamente che il problema è creare le condizioni affinché le barche non partano. Tuttavia, al punto in cui siamo arrivati anche un presunto blocco navale avrebbe ormai le armi spuntate. Sempre più osservatori di geopolitica, economisti, ma anche strateghi militari sono del parere che il flusso migratorio va bloccato e filtrato molto prima che arrivi agli approdi a mare. Dove, allora? A Sud della Libia, in primis, da dove confluiscono i grandi flussi dagli Stati subsahariani che più di altri pagano crisi economiche, guerre e cambiamenti climatici. Secondo gli esperti internazionali la soluzione è proprio lì. Vale a dire la creazione di un doppio filtro in grado da un lato di selezionare i profili legali, quelli cioè che buona parte della nostra industria rivendica, e dall’altro di stoppare e rimandare indietro i clandestini destinati alla criminalità organizzata.
Insomma, un approccio pragmatico, serio, “alternativo” a tutti i “già detto” e “già visto” per gestire un fenomeno, anzi, il fenomeno epocale. La soluzione della presenza di assetti professionali a Sud della Libia che operino nel contenimento dei flussi ovviamente di concerto con le autorità locali non è una soluzione cinica, ma realista.
Il filtro – precisano gli esperti – non potrà essere messo in opera dall’esercito o forze di polizia come i nostri carabinieri. Probabilmente è arrivato il momento – è ancora la loro opinione – che Italia e Ue si possano avvalere del contributo delle tanto biasimate Privati Security Companies come ad esempio l’Academy ex Blackwater degli Usa. Tra l’altro, i costi di una simile operazionale (che toglierebbe dal fuoco tate castagne soprattutto all’Europa) sarebbero sicuramente inferiori al tanto decantato e mai realizzato esercito europeo. Senza contare che i singoli governi europei non sono più nelle condizioni di gestire i cosiddetti fronti caldi, visto anche il mare Mediterraneo ormai non rappresenta più un confine giacché è parte integrante dei territori che si affacciano. Come si diceva, una soluzione che molti potrebbero giudicare politicamente scorretta, ma che rappresenterebbe un’alternativa di realpolitik alle politiche migratorie fin qui fallimentari messe in atto negli ultimi che hanno generato soltanto due conseguenze: un’accoglienza indiscriminata e ormai incontrollabile e costi di miliardi e miliardi spesi inutilmente, come parte di quelli destinati al sultano Erdogan perché il suo Paese faccia da filtro ai profughi della rotta balcanica e mediorientale.
Ne gioverebbe anche l’Unione europea, si diceva. Del resto è cosa abbastanza assodata che il Nuovo patto europeo (l’auspicata cooperazione tra Stati e il rafforzamento e la velocizzazione delle procedure amministrative di identificazione e gestione) che è stato abbozzato lo scorso mese di giugno, è adesso atteso a una approvazione che si preannuncia molto complicata. La soluzione di un filtro a Sud della Libia farebbe dunque piazza pulita dello scontro tra chi vagheggia blocchi navali e decreti draconiani e chi si affida al buonismo senza soluzioni del vicolo cieco dell’accoglienza indiscriminata.
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