Politica

La crisi più pazza del mondo. Fra draghiani e traditori

di Redazione -

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Cronache marziane della quasi caduta del governo dei “Migliori”

L’Aula è semideserta. I banchi di maggioranza sono vuoti. A guardare così Palazzo Madama, sembra una di quelle giornate estive dove si pensa già al mare. E invece no, è il giorno più lungo, Quello della crisi di governo annunciata. Quello in cui il Movimento 5 stelle si asterrà dal voto di fiducia sul decreto Aiuti, mentre il presidente del Consiglio Mario Draghi salirà al Colle a presentare a Mattarella le dimissioni sue e del governo dei Migliori.
Eppure qualcosa non torna. Dove sono i big? Matteo Salvini è desaparecido. La capogruppo del Pd Simona Malpezzi consuma il tappeto della galleria dei busti, su e giù dal suo ufficio, ai passi perduti, al vertice con i suoi fedelissimi, alle telefonate con Enrico Letta. E così pure i grillini. Specie la frangia più dura, quella dei Gianluca Ferrara & C, quelli che SuperMario non lo vogliono più, quelli che stanno scrivendo il discorso che sarà pronunciato, intorno alle 13, dalla capogruppo Mariolina Castellone.
Già perché sta per andare in scena la crisi più pazza del mondo, quella a cui nessuno vuole credere ma che rischia di mandare a casa il Parlamento e spedire gli italiani a votare nel bel mezzo dell’autunno caldo, travolti da caro energia, guerra, Covid e inflazione alle stelle.
“Come finisce secondo te?”, è la domanda che tutti fanno. Alla bouvette, i peones e i vecchi draghi del Palazzo si scambiano opinioni che montano con il passare delle ore. “Non succede niente, vedrai”, dice un senatore Pd ai suoi. “Mattarella è nostro, saprà farlo ragionare”. Ma intanto le riunioni si moltiplicano e in aula non c’è nessuno. Sulle chat dei gruppi cominciano a circolare le foto dell’emiciclo vuoto con gli appelli a correre in aula “perché c’è la diretta e la gente fuori dice che siamo tutti al mare”.
In verità verso le 11 l’idea che prevale è che il Palazzo si sia trasferito sulla Luna. Gira la notizia che il ministro D’Incà, grillino ai Rapporti con il Parlamento, si sia inventato – con sponda Pd – la soluzione del secolo. Il ragionamento è semplice: se il problema è che il M5s non vota la fiducia, beh, togliamo la fiducia e votiamo in aula tutti gli emendamenti. La boutade comincia a circolare, fra risatine e scetticismi, che con il passare dei minuti si fanno però meno frequenti. I siti la battono, si fa seria, serissima. Ma quando il maggioranza sperano che l’idea più pazza del mondo salvi il governo Draghi da questa fine ingloriosa, ci pensa il premier a tacitare tutti. Alza il telefono, chiama D’Incà e si sfila dall’operazione.
L’unico scranno vuoto che vale la pena di fotografare è quello del premier Mario Draghi, il grande assente, che ha delegato un paio di figure minori del governo ad assistere a quella che potrebbe essere la fine del suo governo. “Lo fa perché sa che non succederà nulla”, spiega a Ignazio La Russa un fedelissimo di Fdi. Ma i saggi, che quel Parlamento lo conoscono palmo a palmo sanno bene che la politica è una brutta bestia e a volte, proprio quando sempre più strano, quando non c’è un motivo reale per far saltare tutto… beh, è la volta che salta.
Pier Ferdinando Casini attraversa la sala Giuseppe Garibaldi. A chi lo avvicina fa segno di aspettare. Poi, quando incrocia qualche faccia saggia, si apparta. E sussurra all’orecchio: “Per me non succede nulla”. Poi però strabuzza gli occhi: “Oddio, lo dicevamo anche di Prodi…”.
Dall’altra parte del salone c’è Matteo Renzi, contornato da un capannello di giornalisti con la bocca spalancata. Fa il suo show, spiega perché in aula si è unito all’applauso di Forza Italia alla capogruppo azzurra Bernini, scatenando la bagarre fra i banchi di quella che sembra ormai una ex maggioranza. Già, la pasionaria berlusconiana lancia strali contro i grillini e dai banchi pentastellati si alzano i toni. In pochi secondo il clima è da stadio. “Zitti voi del Bunga Bunga, che avete i camorristi e gli evasori in parlamento”. E l’altra beffarda: “Se foste i Cinque Stelle di una volta, chissà cosa pensereste di voi stessi… “. E così Italia Viva comincia ad applaudire e nei banchi del Pd le facce si fanno cupe. Sì perché sembravA davvero che il governo Draghi non esista più. Non tanto nei numeri o nella prassi parlamentare, ma proprio nel clima dell’aula. Sembra davvero cominciata in anticipo la campagna elettorale. Sembra davvero che a Palazzo Madama si sia rotto l’incantesimo che, grazie a Mattarella e ai “Migliori” aveva lasciato solo Giorgia Meloni come voce fuori dal coro.
Come un presagio, qualcuno ricorda che il governo Prodi cadde proprio allo stesso modo. E alla stessa ora. Nello stesso luogo. E che in politica i segni contano più delle parole.
La presidente del Senato Elisabetta Casellati dichiara concluse le dichiarazioni di voto. Il Movimento di Conte ha confermato che si asterrà. Non voterà la fiducia. La prima Chiama è un’infilata di assenti. Senatori rimasti in aula, ma che non si presentano al voto. I vecchi draghi dell’aula, gente che ha eletto quattro presidenti della Repubblica e visto nascere e cadere tredici governi conta a mente. E calcola quanti pentastellati dell’ultimo minuto possono avere intenzione di passare con Insieme per il Futuro, il partito di Giggino Di Maio, passato dall’impeachment a Mattarella e dalla scatoletta di tonno da aprire, a cagnolino del governo. Alla fine una sorpresa c’è. Loredana De Petris, capogruppo di Leu, non si presenta alla prima chiama della fiducia. La cosa si nota, perché pochi minuti prima Vasco Errani, ex governatore dell’Emilia Romagna e big di Articolo 1 ha chiesto alla maggioranza di aprire una riflessione sulle colpe di questa crisi, che non sono solo di una parte. E lei, era lì. E annuiva.
“Sarà a fumare una sigaretta”, dice un senatore assiduo frequentatore dell’area Smoking free che sta proprio alle spalle dell’Aula. Ma quando anche alla seconda chiama Loredana De Petris non si presenta sotto il tavolo di presidenza la cosa comincia ad avere il sapore della politica. “E’ già in lista con Conte”, spara un piddino. “Te lo dico io”.
Alle 15.30 il gioco è fatto. Draghi ha la fiducia. Ma senza i Cinque stelle. E lascia Palazzo Chigi per salire al Quirinale. Palazzo Madama si svuota all’improvviso. I big convocano i colonnelli al quartier generale. Sanno che SuperMario vuole dimettersi. E sanno di avere le ore contate per convincerlo a tornare sui suoi passi. Perché “è vero che Mattarella è un uomo saggio e sa che se si vota in autunno la destra stravince, ma è anche vero che ha già fatto tre governi. E non è detto che riesca a fare il quarto”, spiega un piddino.
E così la trattativa riparte. E durerà fino a mercoledì. Perché saranno, per dirla con Fabrizio De André, giornate furibonde. E se non riusciranno nell’impresa, anche Mario Draghi dovrà dirsi sconfitto. E lasciare il palazzo.


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