Attualità

La cultura del whisky, dal web al bar

Il distillato più famoso del mondo recupera quote di mercato nel dopo pandemia

di Giovanni Vasso -


Il terzo sabato di ogni mese di maggio, il mondo si ferma per rendere omaggio al whisky. L’acquavite più famosa del mondo si ricava dalla segale, dall’orzo e dal malto. La storia del whisky è avvolta nella leggenda. C’è chi ne fa risalire la nascita addirittura agli antichi Egizi. Ma l’acquavite come la conosciamo noi è nata in Scozia. O forse in Irlanda. Di fatto c’è una sorta di rivalità tra le Highlands e le verdi vallate dell’Eire.
Sono due i tipi di whisky più diffusi al mondo: lo Scotch, reso famoso dai film americani ambientati ai tempi del proibizionismo, e l’Irish. Però il loro primato non è incontestato. Tutt’altro. Al di là delle grandi distillerie americane, negli ultimi anni è stato il Giappone a fare passi da gigante nella produzione del distillato più iconico d’Occidente. Nel 2020, infatti, il prestigioso riconoscimento del World Whisky Award è andato ai nipponici della Hakushu che hanno bissato il successo del 2018. Ci sono produzioni di buona qualità, oltre che in Europa, anche in Canada.
Il whisky inoltre, è tra i prodotti che più interessano il mercato. Almeno secondo le rilevazioni di Iwsr per il 2022. La pandemia ha contratto i consumi di alcol, specialmente di distillati. Ma con la graduale riapertura e il ritorno alla vita quotidiana, i consumatori torneranno a spendere. E lo faranno comprando, assaggiando e provando prodotti che li incuriosiscono. E sempre più persone appaiono interessate a conoscere la cultura che c’è attorno al distillato di malto più famoso del mondo. Come tante passioni, anche quella per il whisky si nutre di internet. Sono fiorite sul web decine e decine di blog e riviste specializzate che fanno da traino al commercio digitale di ogni tipo di bottiglia disponibile al mondo.
Se ciò accade a livello globale, in scala succede anche in Italia. Dove, nel 2014, fu registrata una media di consumo pro capite di whisky pari a 0,16 litri l’anno. Un valore modesto in termini statistici e di sicuro lontanissimo dai francesi (il cui consumo pro capite annuo venne stimato in oltre due litri a testa) e dagli uruguaiani (1,77 litri ciascuno), primi e secondi nella “graduatoria” stilata all’epoca da Euromonitor. Quello 0,16 rappresenta una cifra da prendere come benchmark per valutare l’andamento del mercato che, per il momento, sembrerebbe in leggero rialzo. Anche se il whisky, in Italia, deve affrontare un’agguerritissima concorrenza di prodotti tipici e distillati tradizionali prestigiosi che non temono confronti.


Torna alle notizie in home