Editoriale

La democrazia dell’emergenza

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Continueremo a narrare la controffensiva di Kiev come la panacea di tutti i mali. Ma fra il G20 in India e il significato geopolitico del no alla partecipazione del presidente ucraino, e i magri risultati delle mosse che dovevano capovolgere l’esito del conflitto infinito che sta cambiando gli equilibri mondiali è evidente che la strategia Nato non convince più nemmeno la Nato stessa. Il prossimo anno tra l’altro si voterà il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America e la nuova Commissione Europea.

Due caselle chiave per capire quale sarà davvero l’esito finale di questa partita che ormai da più di un anno non riguarda affatto l’assetto politico dell’Ucraina ma i nuovi equilibri del pianeta. Non finirà questa guerra prima di quelle elezioni. E questo perché non interessa a questo punto alla maggioranza del mondo una vittoria unilaterale. E nelle strategie dei grandi disegnatori di battaglie che abbiamo visto all’opera dal febbraio dell’anno scorso questa piccola questione, e cioè che sul carro della guerra sarebbero salite le potenze mondiali emergenti, doveva essere nella prima riga degli appunti. Ma così non è stato.

Noi abbiamo raccontato tre storie diverse che partivano dalla Resistenza per sedersi più forti al tavolo delle trattative, passavano per la necessaria controffensiva armata della Nato e il suo progetto di allargamento, fino a una guerra vera e propria. Di questo non si discute più a Kiev ma a Pechino e a Washington. Sta nascendo qualcosa di nuovo nel mondo e l’abbiamo lasciato nascere noi, quelli che il mondo dicono di capirlo meglio di tutti e soprattutto di indirizzarlo verso un destino migliore. Il problema è che non ci credono più in tanti a questa sicumera spacciata per democrazia che si rivela una ripetizione di vecchie strategie e antichi adagi che nelle nuove regole del mondo evidentemente non sortiscono gli effetti di un tempo.

Quel che è certo è che la guerra durerà ancora molto, da un certo punto di vista potrebbe ancora dover cominciare. E che noi avremo a che fare con i suoi effetti proprio nell’anno della campagna elettorale per le elezioni europee, che mescoleranno l’ambizione di un mondo migliore ecologico e sano, fatto di motori del futuro e di case perfette, con milioni di persone che avranno da fare i conti per arrivare a fine mese, con stipendi che non valgono più quello che valevano solo tre o quattro anni fa. Stessa cosa vale per gli Stati Uniti. Questo passaggio metterà a dura prova la nostra tenuta democratica sostanziale, che non è fatta di ritornelli e canzoni partigiane, e tantomeno è fatta di retorica del mondo migliore, ma è fatta di decisioni prese a maggioranza nel nome del popolo elettore che si domanda che fine faccia il mandato che dà nelle urne, che sembra sfuggire di mano al suo legittimo titolare per passare nelle mani di organismi superiori che ne fanno l’uso che meglio ritengono.

Questa tendenza che si è giustificata nei decenni di fronte al terrorismo, alle grandi emergenze economiche, negli ultimi anni anche alle gravi emergenze sanitarie, comincia a diventare la regola. E in una democrazia non può esistere la regola dell’urgenza e la regola dell’emergenza. Se siamo democratici davvero, urgenza ed emergenza sono eccezioni e tali devono rimanere. Perché altrimenti l’effetto che avviene è quello di un popolo che si fida sempre di meno e come primo atto smette di andare a votare, cosa che come sappiamo già sta avvenendo da tempo, ma come secondo atto può trovare strade nuove per dare dei segnali che rischiano di diventare molto difficili da gestire all’interno di un sistema che è vero che nella forma è rimasto tale e quale a prima ma nella sostanza è molto meno capace di incidere sulle questioni che riguardano la vita quotidiana dei cittadini.

E così il rischio che corriamo è che le grandi parole di cui ci siamo riempiti la bocca, libertà, democrazia, giustizia, dittatori da sconfiggere, mondi da migliorare lascino il tempo che trovano quando ci si rende conto che nel nome di tutto questo non si sta facendo il bene del popolo.


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