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La doppia elica della vita. Il Dna compie 70 anni

di Redazione -


di GINO ZACCARI
Una doppia elica di legami proteici, un codice lunghissimo di informazioni organiche all’interno del quale è condificato tutto ciò che serve per “costruire” un essere vivente, unico ed irripetibile, diverso da tutti tra miliardi di simili. È questo e molto altro che il 28 febbraio 1953 due ricercatori, il biologo americano James Dewey Watson e il fisico britannico Francis Crick, entrando nel pub che frequentavano, annunciarono di aver scoperto. I due non erano i soli responsabili della grande vittoria, l’altro ricercatore riconosciuto ufficialmente tra gli scopritori della struttura a elica è Maurice Wilkins, del King’s College di Londra, impegnato anche lui da diverso tempo nell’analisi del Dna. Ma qui entra in gioco anche un altro personaggio, la chimica e cristallografa Rosalind Franklin, che fu di fatto l’anello di congiunzione tra Wilkins e i due giovani scienziati di Cambridge. Inoltre la Franklin fu quella che riuscì a scattare ai raggi X la foto che dimostrava la forma elicoidale del Dna, fotografia che si rivelò determinante nell’elaborazione dei modelli che oggi conosciamo. La sua figura però fu completamente emarginata dagli altri.
Nel 1962, per Watson, Crick e Wilkins arrivò il riconscimento più alto del mondo accademico con il conferimento del premio Nobel, dal quale fu appunto esclusa Rosalind Franklin, la quale nel 1958 era morta di cancro, probabilmente a seguito dell’eccessiva esposizione ai raggi X senza adeguata protezione.
L’esclusione della Franklin dagli onori di una scoperta tanto importante scatenò numerose critiche nel mondo accademico e non solo, tanto che nel 1968, Watson sentì il bisogno di scrivere un libro: “La doppia elica”, nel quale si difendeva rimarcando il ruolo non determinante della Franklin, arrivando, con i suoi commenti sul pessimo carattere della ricercatrice, ad attirarsi accuse di misogenia.
Nel frattempo il mondo della scienza era partito a vele spiegate con ricerche nei numerosi settori nei quali la nuova scoperta trovava campi di applicazione. In particolare, fiorirono migliaia di studi e sperimentazioni legati alla prevenzione e alla cura delle malattie genetiche, al modo in cui mutano e si trasmettono di generazione in generazione, e a come il genoma può essere influenzato o modificato dalle condizioni esterne.
Anche il mondo delle investigazioni fu rivoluzionato con la possibilità di verificare con esattezza la presenza di indizi biologici sul luogo di un crimine, valga per tutti un esempio: il 23 maggio 1992, con un attentato esplosivo, sull’autostrada per Capaci, in Sicilia, morirono il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta. Gli investigatori trovarono dei mozziconi di sigaretta all’imbocco del tunnel attraverso il quale era stato piazzato l’esplosivo. Su quei mozziconi, con le più avanzate tecniche di analisi, fu trovato il Dna di Giovanni Brusca, che azionò materialmente il telecomando della bomba.
Un altro campo di applicazione lo troviamo nello studio della storia più antica dell’uomo e dei suoi progenitori: è infatti grazie all’antropologia molecolare, ossia quella disciplina che si occupa di comparare il codice genetico degli esseri umani contemporanei con quelli dei nostri antenati anche di decine o centinaia di migliaia di anni, che è stato possibile analizzare gli spostamenti dell’Homo Sapiens per capire quando, e attraverso quali percorsi e quali tappe intermedie, dalle originarie sedi dell’Africa si è diffuso prima in Europa e poi nel resto del mondo. È stato inoltre possibile determinare le parentele tra i vari gruppi etnici e le discendenze tra di essi.
Possiamo andare nel dettaglio, come detto, anche di singole popolazioni, prendiamo ad esempio l’Italia: il nostro risulta essere il Paese più ricco d’Europa in termini genetici, i genomi degli individui della popolazione italiana sono molto diversi tra loro, ma non pensiamo subito al grande movimento di popoli in epoca romana o alle invasioni barbariche, o peggio ancora ai flussi migratori recenti. La nostra ricchezza cromosomica arriva da più lontano, ossia ad un periodo compreso tra i 12mila e i 19mila anni fa, durante l’ultima glaciazione, quando si verificarono continui fenomeni migratori di popolazioni provenienti da ogni angolo d’Europa che hanno attraversato in lungo e in largo la penisola, e determinando quel particolare mix genetico che ancora oggi è riscontrabile nel nostro corredo genetico. Ad effettuare l’importante scoperta è stato un gruppo di ricercatori dell’università di Bologna che ha pubblicato uno studio su questo tema nel 2020.
Un’ultima curiosità, lo studio del Dna è stato reso anche sonoro oltre che visivo, se infatti la rappresentazione delle varie sequenze proteiche viene classicamente ottenuta attraverso bande di diversi colori, ora, per agevolare il lavoro anche a ricercatori e studenti non vedenti, sono state introdotte le sonoficazioni, ossia la traduzione fatta in suoni, ottenuti artificialmente, di un preciso set di dati fisici, una sorta di “sinfonia della vita”.
Accanto a tutto questo però, con l’avanzare della tecnica di studio e la sempre maggiore capacità di manipolazione del Dna che stiamo acquisendo, si sono fatti strada nell’opinione pubblica, e nel dibattico politico, oltre che scientifico, questioni legate ai risvolti etici di tecniche come la clonazione o l’eugenetica. Ci si interroga e si discute, con sempre maggiore intensità e apprensione, su quale sia il limite oltre il quale è lecito e accettabile spingersi.

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