Cultura & Spettacolo

“La filosofia del lavoro” di Georg Simmel

di Mariagrazia Biancospino -


Georg Simmel è considerato uno dei “padri fondatori” della sociologia, con Émile Durkeim e Max Weber, anche se non ha dato corso a una scuola. Per la vastità della sua opera, il suo pensiero è stato utilizzato da molti e in vari “temi”, proprio per la sua capacità di interpretare la modernità: dalla moda alla metropoli, dal denaro alla questione femminile, dal capitalismo alla teoria della storia. Nei suoi scritti troviamo riferimenti a tre temi-chiave: la dimensione, la divisione del lavoro, il denaro-razionalità. Simmel studia il passaggio dal piccolo al grande gruppo, in cui l’individuo diventa sempre più solo; mentre la divisione del lavoro porta alla frammentazione della vita sociale; il denaro, a sua volta, è la fonte e l’espressione della razionalità e dell’intellettualismo metropolitano, è un “livellatore”, riducendo qualsiasi valore qualitativo a una base quantitativa. Inoltre, per Simmel, nell’individuo della città “moderna” (la metropoli) le sfere della famiglia e del vicinato, tipiche della comunità, perdono il loro peso, per essere sostituite dalla sfera dei “contatti superficiali”.

“Filosofia del lavoro” (Ed. Mimesis), presentato ora, a cura di Francesco Valagussa, nasce da un articolo (titolo “Zur Philosophie der Arbeit”), comparso nel maggio 1899 sulla rivista “Neue Deutsche Rundschau”. Il saggio è stato poi integrato all’interno della “Philosophie des Geldes”. Simmel, nel contesto sociale e storico del suo tempo, sul lavoro delinea il suo pensiero, partendo da due interrogativi: ll lavoro è davvero la fonte del valore delle cose? ln realtà, il termine “lavoro” designa un processo che non è tanto semplice determinare: si possono commisurare lavoro fisico e lavoro intellettuale? Forse il lavoro dell’impiegato è meno faticoso rispetto a quello del manovale, ma spesso produce più valore grazie alla complessità dell’organizzazione sociale in cui s’inserisce. Così pure il minimo movimento della mano di un pianista rispetto alle prodezze di un saltimbanco. Il tentativo di parametrizzare il valore di ogni lavoro fallisce in partenza: a seconda dell’attività e del soggetto, la capacità di concentrare quantità di lavoro nella stessa unità di tempo varia immensamente. Da ultimo, il lavoro non si misura nemmeno sulla base della sua quantità, bensì dell’utilità del suo risultato. Georg Simmel (Berlino, 1858 – Strasburgo, 1918) tra il 1890 e il 1900 compose i suoi più importanti trattati sociologici: “Sulla differenziazione sociale” (189O), “I problemi della filosofia della storia” (1892), “Il problema della sociologia” (1894), “La moda” (1895), “Filosofia del denaro” (1900), “La metropoli e la vita dello spirito” (1900). Nel periodo tra il 19OO e il 1914 compose altre opere, continuando la sua ricerca in ambito sociologico, e alcuni saggi sul relativismo. I suoi ultimi libri furono: “Il conflitto della cultura moderna” (1912), “Sulla filosofia della religione” (1912), “L’intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici” (1918).  Nel 1914 diventò professore ordinario all’università di Strasburgo. L’influsso di Simmel, che annoverava tra i suoi studenti a Berlino figure come Bloch, Lukàcs, Buber, Pannwitz, è stato notevole sia sul pensiero filosofico, sia su quello sociologico. L’esistenzialismo, poi, ha ripreso alcuni temi da lui affrontati. Suoi riferimenti personali furono Kant, Nietzsche, Schopenhauer.

In Italia cominciò a essere conosciuto a partire dal 1922, quando Giacomo Perticone, professore di Filosofia del Diritto e di Storia dei partiti e dei movimenti politici, in varie università italiane, pubblicò “Il relativismo” di Simmel (sua la traduzione e l’introduzione). Nel 1923, Perticone pubblicò “La filosofia di Georg Simmel”.

 

 


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