La provocazione della Flotilla e la prepotenza di Israele
Da una parte l’ostinazione della Flotilla nel voler portare a compimento una missione a Gaza destinata a fallire, dall’altra la prepotenza di uno Stato che ha già reso carta straccia i trattati internazionali perpetrando una sistematica violazione dei diritti umani in nome della conquista della Terra promessa e con la scusa di estirpare il germe del terrorismo in Medio Oriente. Nel mezzo, un lungo elenco di paesi alle prese con l’inconciliabile necessità di tutelare i propri connazionali a bordo delle imbarcazioni che compongono la Flotilla e di far fronte all’arroganza israeliana, decisa a impedire in tutti i modi che la missione umanitaria giunga a Gaza. È questa l’evoluzione del già delicato quadro relativo al conflitto israelo palestinese che con l’occupazione di Gaza City disposto dal governo di Tel Aviv rischia di aver già scavallato il punto di non ritorno.
Tra l’incudine e il martello
La comunità internazionale, più o meno schierata da una parte o dall’altra, vive i recenti sviluppi con sempre maggiore imbarazzo, nella consapevolezza di non poter intervenire se non solamente fino a un certo punto. Gli appelli rivolti alla Flotilla per dissuaderla dallo sfidare il blocco navale israeliano in nome della missione con destinazione Gaza sono destinati a cadere nuovamente nel vuoto. Anche perché, con una buona dose di cinismo e anche ottusità, gli organizzatori della missione, che si trovino in mare o più comodamente sulla terraferma, non scongiurano qualche piccolo e banale incidente di sorta utile ad aumentare la risonanza dell’operazione mediatico-umanitaria. Allo stesso tempo, è impensabile riuscire a convincere il governo di Netanyahu a far giungere gli aiuti umanitari direttamente a Gaza. La linea di Tel Aviv è chiara: la missione della Flotilla verso Gaza è una provocazione e il suo scopo è sostenere Hamas. Incontestabile la prima affermazione, assolutamente propagandistica e strumentale la seconda.
La moral suasion del governo
È in questo contesto che va inserito il tentativo di moral suasion del governo italiano teso a evitare che si verifichi il peggio. Ed è ovvio che il ministro della Difesa Crosetto, intervenendo in Parlamento, confermi l’impegno delle fregate italiane nel garantire l’incolumità dei nostri connazionali sulla Flotilla la cui missione è giungere a Gaza via mare. Altrettanto ovvio, però, è che lo stesso ministro chiarisca che non si incorrerà in nessun caso nel rischio di aprire un conflitto con Israele per sostenere quella “insurrezione globale” che la Flotilla si è arbitrariamente intestata con la missione verso Gaza. Al di là dei tecnicismi di bassa lega sulle acque internazionali, quelle territoriali e sulla legittimità dei blocchi navali. La geografia la conosciamo tutti, ma forse qualcuno vuole un’altra guerra. E se il posizionamento italiano potrebbe certamente essere più audace della tiepida reprimenda nei confronti di Israele, utile a mantenersi in precario equilibrio tra la linea degli Stati Uniti e quella ormai maggioritaria in Unione europea, l’opposizione farebbe bene ad abbandonare gli spot – veri ma banali – dietro ai quali si trincera e a pretendere un impegno umanitario a Gaza attraverso i canali ufficiali e non quelli della Flotilla.
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