Esteri

La Flotilla, il blocco di Israele, il piano di Trump (l’attesa) risposta di Hamas

La misura estrema della strategia di sicurezza israeliana fu formalmente varata nel 2009

di Ernesto Ferrante -


Nella tarda mattinata di ieri, il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato finita la missione della Global Sumud Flotilla, ribattezzata da Tel Aviv “Hamas-Flotilla Sumud”. “Nessuno degli yacht della Flotilla è riuscito nel suo tentativo di entrare in una zona di combattimento attiva o di violare il legittimo blocco navale. Tutti i passeggeri sono sani e salvi. Stanno viaggiando sani e salvi verso Israele, da dove saranno espulsi in Europa”, ha scritto il ministero su X. Nel frattempo, 45 navi civili sono salpate dal porto di Arsuz, nella provincia di Hatay in Turchia, dirette verso la Striscia di Gaza per sostenere l’iniziativa della Flotilla.

Il blocco navale di Israele che ha fermato la Global Sumud Flotilla

Gli ultimi avvenimenti hanno fatto riaccendere i riflettori sul controverso blocco navale imposto dallo Stato ebraico alla Striscia di Gaza, che affonda le sue radici nell’episodio di contrabbando di armi del 3 gennaio 2002, quando i commando israeliani intercettarono nel Mar Rosso la nave Karine A, battente bandiera palestinese, che trasportava 50 tonnellate di armi iraniane destinate all’enclave palestinese. Una violazione flagrante degli Accordi di Oslo, che limitavano l’armamento delle forze di sicurezza palestinesi. Un fatto simile si verificò il 4 novembre 2009, quando la marina israeliana bloccò al largo di Cipro l’imbarcazione Francop con un carico di oltre 320 tonnellate di armi iraniane nascoste tra sacchi di polietilene. Israele ha “utilizzato” questi due sequestri per dimostrare l’esistenza delle rotte iraniane verso organizzazioni militanti palestinesi e libanesi, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

La misura estrema della strategia di sicurezza israeliana fu formalmente varata il 3 gennaio 2009. Un rapporto del 2011 commissionato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, guidato da Sir Geoffrey Palmer, ex Primo Ministro della Nuova Zelanda, la giudicò addirittura “legale” secondo il diritto internazionale.

Si attende la risposta di Hamas al piano di Trump

Hamas è orientato verso una risposta “positiva” al piano americano per mettere fine alla guerra a Gaza, ma chiederà alcune modifiche. A rivelarlo è stata una fonte informata sui negoziati al Times of Israel. Il Qatar ha contattato gli Stati Uniti per far modificare alcune parti.

Sono tre le “opzioni principali” valutate nell’incontro tra le fazioni palestinesi, guidate dal movimento islamico di resistenza. Le prime due sono accettare il piano con modifiche ad alcuni punti, come i meccanismi di ritiro israeliano e la formazione di un “Consiglio di pace” internazionale presieduto da Trump, oppure rifiutare completamente la proposta nella sua forma attuale, considerata una “concessione a Netanyahu” che soddisfa solo le richieste israeliane, come il disarmo “senza garanzie per uno Stato palestinese o la ricostruzione”.

L’opzione più plausibile

La terza consiste nel recepirla dopo aver richiesto chiarimenti su alcune clausole e garanzie concrete, a patto che l’amministrazione statunitense riconosca ufficialmente uno Stato palestinese entro i confini del 4 giugno 1967. Quest’ultima avrebbe raccolto i maggiori consensi perché rimetterebbe la palla nel campo avversario, aprendo spazi per futuri negoziati.

La testata Al-Araby Al-Jadeed ha anche riferito che l’ex primo ministro britannico Tony Blair visiterà l’Egitto nei prossimi giorni per incontrare il ministro degli Esteri, Badr Abdel Ati, e il capo dell’Intelligence, Hassan Rashad, nel tentativo di promuovere la sua “linea”.


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