Il piano statunitense per mettere fine alle ostilità a Gaza, ha subito delle modifiche che ne rendono incerta l'attuazione
Nuovi intoppi per la Global Sumud Flotilla. La Turchia ha aiutato a evacuare gli attivisti a bordo della “Johnny M”, una delle imbarcazioni che fanno parte della flotta diretta a Gaza, dopo che ha avuto un guasto. Gli organizzatori hanno affermato che la missione è stata temporaneamente interrotta. Tutti i partecipanti verranno trasferiti su un’altra nave. Alcuni saranno riassegnati, mentre altri saranno fatti sbarcare. La Flotilla raggiungerà Gaza in 4 giorni. Nel frattempo la diplomazia è al lavoro.
Equilibri saldi tra Trump e Netanyahu
L’alleanza tra Usa e Israele è ben salda. Lo staff del presidente statunitense Donald Trump, dopo l’incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, ha apportato dei “cambiamenti sensibili” alla proposta di pace per Gaza, per renderla più “digeribile” per Israele. Lo ha riferito a Channel 12 un alto funzionario vicino al premier, ammettendo in ogni caso l’esistenza di seri ostacoli.
Le scuse di facciata al Qatar
Netanyahu ha telefonato al premier del Qatar Mohammed Bin Abdulrahman al-Thani, scusandosi per il raid del 9 settembre scorso a Doha che aveva come obiettivo l’uccisione della leadership di Hamas. Le scuse ufficiali del primo ministro israeliano erano la condizione che Doha aveva posto per riprendere la mediazione tra Israele e Hamas. Un atto più di forma che di sostanza, che non modifica in alcun modo gli equilibri tra Washington e Tel Aviv.
La posizione di Hamas
L’alto funzionario del movimento islamico di resistenza, Taher al-Nunu, ha dichiarato all’emittente qatariota Al-Araby che “finora non ci sono state discussioni dirette o indirette sul piano promosso da Donald Trump, di cui Hamas è a conoscenza solo grazie a indiscrezioni trapelate dai media”. La fazione ha manifestato la disponibilità a liberare gli ostaggi nell’ambito di un accordo globale che porti alla fine della guerra e al ritiro di Israele dalla Striscia.
Fonti ben informate sulle dinamiche dei negoziati tra Stati Uniti e Israele hanno paventato un sabotaggio del piano Usa da parte dello Stato ebraico, che lo avrebbe svuotato del suo contenuto attraverso revisioni introdotte dai suoi negoziatori. La formula attuale risulterebbe volutamente vaga per quanto riguarda i meccanismi di attuazione.
L’Hostage Family Forum ha scritto una lettera al presidente degli Stati Uniti. Ringraziandolo per i suoi sforzi per liberare i prigionieri, i familiari degli ostaggi lo hanno implorato di portare a termine l’accordo per poter riabbracciare gli ultimi rapiti. La fiducia nel premier israeliano è ai minimi termini da tempo. Anche per questo a Trump è stato chiesto di “resistere fermamente a qualsiasi tentativo di sabotare l’accordo da voi proposto”.
Il ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich ha elencato le sue condizioni per accettare la fine dei combattimenti a Gaza: ritiro completo di Hamas, smilitarizzazione della Striscia, presenza delle Idf sul perimetro e sulla rotta Philadelphia lungo il confine tra Gaza e il Sinai e mancato coinvolgimento dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) nel futuro governo.
La situazione a Gaza è drammatica
“Siamo al principio della fine? Speriamo di sì”, ha auspicato padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, dai suoi canali social. Drammatico il suo ritratto della situazione: “A Gaza non si respira. I bombardamenti continuano intensi e colpiscono zone lontane ma anche vicino a noi con schegge che cadono dentro la parrocchia. Il fragore è enorme. Fumo e polvere riempiono l’aria, ma ormai siamo in qualche modo abituati. A Gaza c’è bisogno di tutto, non solo di cibo, acqua, medicine e carburanti ma anche di aria pulita, ossigeno, di sole, di calore, di serenità”.
Oltre ai soldati israeliani, avanza la fame. Entro i prossimi tre mesi sono destinate a esaurirsi le scorte alimentari dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi.
La Spagna ha vietato il transito di aerei o navi statunitensi carichi di armi, munizioni o equipaggiamento militare per Israele attraverso le basi di Rota, a Cadice, e Moron de la Frontera, a Siviglia.