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La grande alleanza Pd-Fdi? Solo per il proporzionale

Cosa accadrebbe se in Italia, dopo le elezioni, si creasse un governissimo tra i due pesi massimi del consenso, cioè Pd e Fratelli d’Italia? L’Europa si limiterebbe a benedirlo e a Washington il patto (postumo) tra gli eredi di Almirante e quelli di Berlinguer, nel nome dell’atlantismo e dell’europeismo, verrebbe salutato con favore. Queste sono le ricostruzioni che ormai da qualche giorno circolano sui giornali più influenti del Paese, dal Corriere della Sera a Dagospia.

Gli scenari sembrerebbero abbastanza delineati. Il Pd non potrebbe tirarsi indietro né avallare pregiudiziali di sorta dal momento che, oggi, governa il Paese insieme alla Lega dell’odiatissimo Matteo Salvini e che studia un campo largo con quello stesso Movimento Cinque Stelle che, un pugno d’anni fa, avrebbe costituito addirittura un pericolo per la democrazia. Tra Pd e Fdi, si ragiona, ci sarebbero più cose in comune di quanta la retorica antifascista da un alto e quella anti-inciucista dall’altro lascerebbe immaginare. Si tratta, ed è vero, di due forze profondamente atlantiste che si sono immediatamente schierate a favore dell’Ucraina quando è scoppiato il conflitto con la Russia. Inoltre Meloni, divenuta presidente dei Conservatori Europei, ha smussato le posizioni anti Ue ed è passata da una critica di sistema sul modello “fuori dall’Europa” all’opposizione all’interno delle istituzioni comunitarie. Infine, Pd e Fdi sono entrambe forze strutturate ed eredi di una storia di radicamento sul territorio e nella coscienza politica del Paese.

Va detto che lo scenario di un governissimo tra democratici e conservatori è alquanto improbabile. Giorgia Meloni ha tenuto subito a precisare che “nulla di buono può nascere con la sinistra” e che sono lontanissime da lei le tentazioni “inciuciste”. A ben guardare, infatti, le sollecitazioni a un asse Pd-Fdi sembrano più orientate a creare un fronte comune sulla legge elettorale. Che porti il Paese a votare, il prossimo anno, con il proporzionale secco. Così entrambi i partiti avrebbero le mani libere per la campagna elettorale e, dal momento che nessuno riuscirà a conquistare una maggioranza nemmeno lontanamente comparabile a quelle della Dc, ogni gioco per le alleanze di governo sarebbe rinviato al dopo-urne. In un colpo solo, Letta si libererebbe dalla zavorra Conte e Meloni dal peso di Salvini e Berlusconi.

Ma se è vero che la farina del diavolo va in crusca, uno scenario simile rischia di impantanare Fratelli d’Italia a un ruolo di eterna opposizione. Ferma a destra, risolta a non dialogare con nessuno che non sia nel centrodestra, scegliendo la strada del muro, Meloni finirebbe per incassare consensi mai visti prima inspendibili, però, sul piano del governo. E sarebbe una vera beffa, a tutto vantaggio del Partito democratico. Che invece, nuova balena bianca, potrebbe garantirsi un ruolo centrale nell’esecutivo che verrà.

Cosa accadrebbe se in Italia, dopo le elezioni, si creasse un governissimo tra i due pesi massimi del consenso, cioè Pd e Fratelli d’Italia? L’Europa si limiterebbe a benedirlo e a Washington il patto (postumo) tra gli eredi di Almirante e quelli di Berlinguer, nel nome dell’atlantismo e dell’europeismo, verrebbe salutato con favore. Queste sono le ricostruzioni che ormai da qualche giorno circolano sui giornali più influenti del Paese, dal Corriere della Sera a Dagospia.

Gli scenari sembrerebbero abbastanza delineati. Il Pd non potrebbe tirarsi indietro né avallare pregiudiziali di sorta dal momento che, oggi, governa il Paese insieme alla Lega dell’odiatissimo Matteo Salvini e che studia un campo largo con quello stesso Movimento Cinque Stelle che, un pugno d’anni fa, avrebbe costituito addirittura un pericolo per la democrazia. Tra Pd e Fdi, si ragiona, ci sarebbero più cose in comune di quanta la retorica antifascista da un alto e quella anti-inciucista dall’altro lascerebbe immaginare. Si tratta, ed è vero, di due forze profondamente atlantiste che si sono immediatamente schierate a favore dell’Ucraina quando è scoppiato il conflitto con la Russia. Inoltre Meloni, divenuta presidente dei Conservatori Europei, ha smussato le posizioni anti Ue ed è passata da una critica di sistema sul modello “fuori dall’Europa” all’opposizione all’interno delle istituzioni comunitarie. Infine, Pd e Fdi sono entrambe forze strutturate ed eredi di una storia di radicamento sul territorio e nella coscienza politica del Paese.

Va detto che lo scenario di un governissimo tra democratici e conservatori è alquanto improbabile. Giorgia Meloni ha tenuto subito a precisare che “nulla di buono può nascere con la sinistra” e che sono lontanissime da lei le tentazioni “inciuciste”. A ben guardare, infatti, le sollecitazioni a un asse Pd-Fdi sembrano più orientate a creare un fronte comune sulla legge elettorale. Che porti il Paese a votare, il prossimo anno, con il proporzionale secco. Così entrambi i partiti avrebbero le mani libere per la campagna elettorale e, dal momento che nessuno riuscirà a conquistare una maggioranza nemmeno lontanamente comparabile a quelle della Dc, ogni gioco per le alleanze di governo sarebbe rinviato al dopo-urne. In un colpo solo, Letta si libererebbe dalla zavorra Conte e Meloni dal peso di Salvini e Berlusconi.

Ma se è vero che la farina del diavolo va in crusca, uno scenario simile rischia di impantanare Fratelli d’Italia a un ruolo di eterna opposizione. Ferma a destra, risolta a non dialogare con nessuno che non sia nel centrodestra, scegliendo la strada del muro, Meloni finirebbe per incassare consensi mai visti prima inspendibili, però, sul piano del governo. E sarebbe una vera beffa, a tutto vantaggio del Partito democratico. Che invece, nuova balena bianca, potrebbe garantirsi un ruolo centrale nell’esecutivo che verrà.

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