Economia

La grande truffa del legno. Così speculano sul pellet

Sul mercato 3 milioni di tonnellate in meno di prodotto. Un sacchetto da 15 chili costa il doppio rispetto al 2021

di Rita Cavallaro -

©Gianluca Pascutti


In vista del grande freddo gli italiani sostituiscono il caro gas con le biomasse ma il materiale è sempre più introvabile e diventa ostaggio dei paesi esportatori.

La corsa al gas non è l’ultima frontiera che gli italiani si preparano ad affrontare nell’autunno caldo sul fronte economico ma freddo per i prezzi dell’energia. Anche le fonti alternative, infatti, segnano aumenti e speculazioni che difficilmente potranno essere contenute.

Il caso più emblematico è il pellet, che ha cominciato a scarseggiare già da un paio di mesi, da quando i cittadini, terrorizzati dagli aumenti in bolletta, hanno scelto di acquistare caldaie e impianti di riscaldamento che usano il sistema delle biomasse, quell’energia alternativa che sicuramente risulta meno inquinante del petrolio e del gas. Eppure, chi ha pensato di passare alle stufe a pellet per risparmiare non ha fatto un grande affare. Pesano sulle tasche dei consumatori i prezzi della materia prima, che sono più che raddoppiati. Secondo i dati forniti da Aiel, l’Associazione Italiana Energie Agroalimentari che raggruppa le principali imprese italiane della filiera legno-energia, il pellet franco partenza e al netto dell’Iva oggi costa al consumatore 341 euro a tonnellata. Ciò vuol dire che per un sacchetto da 15 chili del biocombustibile la spesa ammonterà sui 9 euro, quindi il doppio di quanto costava nello stesso periodo del 2021. Certo, un minimo risparmio rispetto alle fonti tradizionali di riscaldamento c’è, se calcoliamo che per pareggiare il costo energetico del gasolio il consumatore dovrebbe pagare oltre 12 euro al sacco, ma va aggiunta anche la spesa iniziale delle stufe da piazzare in casa. L’investimento varia a seconda della dimensione, della potenza e della resa in termini energetici dell’impianto di combusione. È possibile comunque farsi un’idea su quanto è necessario sborsare prendendo in considerazione tre fasce di prodotti. Per una stufa con potenza inferiore ai 10 kw il costo varia dai 400 a 1.300 euro, quelle tra i 15 e i 20 arrivano a 2.500, mentre la spesa per gli impianti che raggiungono i 35 kw sale a ben 5mila euro. Va poi considerato il continuo approviggionamento di sacchetti di pellet, da bruciare nelle stufe in un periodo che va almeno da novembre ad aprile.

“I prezzi registrati nel 2022 sono senza dubbio eccezionali per il periodo e rispecchiano le difficoltà globali legate alla situazione economica e alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici”, fanno sapere da Aiel. A pesare sugli aumenti che continuano a volare,seppur indirettamente ci sono ancora una volta le sanzioni dei paesi occidentali contro la Russia. Il blocco del legname proveniente da Mosca, che è sempre stato tra i maggiori esportatori, oggi ha creato un effetto boomerang sui tre principali partner del nostro Paese, in cui operano meno di una decina di produttori di pellet senza possibilità dello sfruttamento delle risorse. L’Italia, infatti, importa la maggior parte del legno, dai cui scarti si ricava il pellet, da Austria, Francia e Germania che, di fronte alla mancanza degli arrivi dalla Russia e dalla Bielorussia, hanno chiuso l’export per scongiurare il rischio di non poter far fronte al proprio fabbisogno durante il prossimo inverno. Secondo le stime di Aiel, la contrazione diretta del mercato italiano non sarà inferiore al 10 percento delle quantità commercializzate annualmente nel nostro Paese e già adesso la carenza complessiva stimata ammonta a circa 3 milioni di tonnellate di pellet. Di fatto il biocombustibile, al momento, è sempre più introvabile e i timori di rimanere senza scorte sta determinando anche speculazioni. Si parla di picchi del 150 percento di aumenti, a fronte di una materia prima che, secondo alcune testimonianze, è regolarmente venduta sui bancali austriaci e a un terzo del costo italiano. E allora c’è più di sospetto che, dietro la scelta di bloccare le esportazioni dall’Austria, ci sia una strategia speculativa che vede l’esportatore stipare tonnellate di legnetti per tirarli fuori a prezzi record quando i consumatori nostrani saranno disperati. E il disagio non riguarda esclusivamente i singoli cittadini, perché all’aumento della competizione interna del segmento domestico si è aggiunto quello del settore industriale, rappresentato dalle grandi centrali nord-europee alimentate a biomasse per la produzione elettrica e cogenerazione. Lo shock dei prezzi dell’energia ha spinto questi impianti ad aumentare la produzione energetica da fonti alternative a quelle tradizionali, intensificando così l’approviggionamento di pellet. In un mare magnum dove pesce grande mangia pesce piccolo, lasciando le briciole ai cittadini, i quali saranno costretti a pagarle come un pasto di gala. Non mancano infine, per aggravare il già preoccupante quadro energetico, le truffe dei soliti furbetti. Meno di un mese fa, quando in molti cercavano di accaparrarsi il combustibile ad un prezzo migliore, la Guardia di Finanza ha sequestrato 5mila tonnellate di pellet contraffato e ha denunciato per frode in commercio e contraffazione 52 persone, coinvolte nella maxi truffa energetica nazionale. “Tutte le associazioni europee del settore concordano sul fatto che il mercato europeo del pellet saprà reagire alle attuali sollecitazioni con un aumento dei livelli produttivi, anche se i processi di adeguamento dei livelli d’offerta avranno bisogno del giusto tempo per realizzarsi nel concreto”, ha spiegato la direttrice generale di Aiel, Annalisa Paniz. “È prevista per il 2023 l’inaugurazione di 11 nuovi impianti produttivi in Austria”, sottolinea Paniz, “in Francia la capacità produttiva nazionalepotrebbe addirittura raddoppiare entro il 2028 e anche in Italia registriamo un nuovo e recente interesse per l’insediamento di nuovi impianti locali di produzione di pellet. Sul fronte italiano”, ha aggiunto la direttrice generale di Aiel, “l’avvio di politiche nazionali volte finalmente ad aumentare la produzione di biocombustibili di origine nazionale sarà fondamentale per ridurre la dipendenza dalle importazioni estere”, conclude Paniz.

Le previsioni per il futuro, dunque, aprono scenari certamente più rassicuranti ma, come avviene quando si parla di nucleare e si contesta il fatto che non è la soluzione a breve termine perché il problema è qui e ora, restano i timori di chi ha lasciato i classici riscaldamenti per la stufa a pellet. Convinti di fare l’affare della vita e sfuggire al rischio razionamenti, dovranno perfino fare i conti con truffatori e speculatori.


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