Cultura & Spettacolo

La Grazia di Sorrentino incanta il Lido, Servillo è il presidente tra fede e dubbi

Le prime visioni alla Mostra del Cinema di Venezia: Servillo e Ferzetti tra gli applausi della platea

di Ivano Tolettini -


Un’apertura di qualità che fa bene al cinema italiano: Paolo Sorrentino inaugura l’82ª Mostra del cinema di Venezia con La Grazia, un film che si colloca nel solco dei suoi lavori più maturi. L’accoppiata con Toni Servillo ancora una volta testimonia il feeling tra regista e attore. È il racconto del potere che si consuma nella solitudine e nella responsabilità delle scelte, appunto quelle di una Capo di Stato, con una sceneggiatura che intreccia l’intimo e il politico, il tormento e la fede, la colpa e il perdono.

La Grazia di Sorrentino: le similitudini con l’attualità e le interpretazioni

Protagonista è Mariano De Santis (un ispirato Servillo), Presidente della Repubblica, giurista vedovo e cattolico, padre di una figlia (Anna Ferzetti è convincente), che ne incarna la continuità civile e morale. Ma la similitudine con Sergio Mattarella si ferma qui. La vicenda si sviluppa attorno a due richieste di grazia che gli arrivano a fine mandato: una donna che ha ucciso il marito violento, un uomo che ha tolto la vita alla moglie malata di Alzheimer. Due casi esemplari che mettono in gioco i confini del diritto e della pietà, intrecciandosi con un terzo tormento, privato: il ricordo di un tradimento coniugale che da quarant’anni dilania il protagonista.

Se è vero che in superficie la figura interpretata da Servillo sembra, per molti tratti, ricalcare quella di Mattarella (vedovo, cattolico, rigoroso custode della Costituzione), e lo stesso Sorrentino ammette che l’ispirazione nasce da una notizia reale, la grazia concessa da Mattarella a un uomo che aveva ucciso la moglie malata, nella realtà cinematografica non è Mattarella. Ci possono essere assonanze con vari presidenti – Scalfaro, Cossiga, Ciampi e Napolitano – figure di grande responsabilità e struttura intellettuale. “Ho rubato tratti da tutti loro – spiega ai cronisti il regista -, ma il personaggio è frutto di pura invenzione”.

Servillo rincara: “Da zero a dieci ci siamo ispirati a Mattarella zero. Sono figure a cui gli italiani si sono rivolti nei momenti di disorientamento”. Il film dopo un inizio in cui vengono messe a fuoco le varie figure, decolla in un’allegoria della Presidenza come istituzione morale, come luogo dove il dubbio diventa virtù e antidoto all’arroganza della politica contemporanea. “La politica per come la intendo io dovrebbe frequentare il dubbio”, aggiunge Sorrentino, rivendicando il valore di un’incertezza feconda contrapposta alla cieca sicurezza dei leader odierni.

È un messaggio civile oltre che estetico: nel rigore di un presidente innamorato della moglie che non c’è più e della Costituzione che ancora lo guida, Sorrentino vede la possibilità di un’etica pubblica non gridata, ma praticata. Servillo, come detto, conferma la straordinaria simbiosi con il regista partenopeo. Giunto al settimo lavoro insieme, offre una prova di recitazione misurata e profondamente umana: un Presidente che dietro l’apparente rigidità custodisce amore, tenerezza e tormento. La sua voce e il suo corpo restituiscono la fatica di decidere, il peso della rappresentanza, il silenzio che precede un atto irreversibile. La figlia interpretata da Anna Ferzetti aggiunge una nota di freschezza, contrapponendo la sua generazione a quella del padre, ma senza mai spezzare il legame d’amore.

Girato in gran parte a Torino, con il Quirinale ricostruito tra residenze sabaude, La Grazia non rinuncia a momenti di ironia tipicamente sorrentiniana: l’amica del cuore che definisce la cena presidenziale «un’ipotesi di cena», il papa nero che si allontana in scooter. Il risultato è un’opera densa e suggestiva, da Leone d’oro, accolta al Lido da lunghi applausi. Allo spettatore è consegnata una parabola sulla responsabilità e sull’amore, sulle ombre che accompagnano ogni scelta decisiva e sulla necessità di coltivare il dubbio cartesiano come metodo e strumento di giustizia. Un film che interroga le coscienze e restituisce alla politica una dimensione morale di cui oggi si avverte l’assenza.

Non solo Sorrentino, brave Rapace e Golino

Alla rassegna spiccano due film intensi e lontani dall’agiografia o dalla retorica. Nella sezione Orizzonti, Mother, con una magnetica Noomi Rapace, restituisce il momento più duro di Madre Teresa: il 1948 a Calcutta, quando decide di lasciare il convento per seguire la chiamata divina verso i poveri. Non una santa di cartapesta, ma una donna lacerata da dubbi, severa e fragile insieme, ritratta con un realismo che mette in luce ombre e grandezze. Mentre alle Giornate degli autori La Gioia di Nicolangelo Gelormini racconta la relazione proibita tra Gioia (Valeria Golino), insegnante cinquantenne segnata da una vita opprimente, e Alessio (Saul Nanni), giovane che vende il proprio corpo per aiutare la madre (Jasmine Trinca). Un legame impossibile e necessario, destinato a consumarsi.

Il cast è solido, dalla Golino intensa a Trinca e Colella misurati, ma sorprende soprattutto Nanni, 29enne bolognese, capace di reggere il peso drammatico con una prova di rara maturità. Dunque, una mostra che per gli appassionati di cinema è partita col piede giusto.


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