Attualità

La guerra dei due estremisti e la religione come via di pace

di Francesca Chaouqui -


Ancora oggi ai più non sono chiare le dinamiche che muovono ebrei, arabi palestinesi e sionisti a farsi la guerra tra loro. Nel calderone tutti hanno colpe e tutti sono vittime ma ormai è chiaro che non si tratta di una guerra di religione perché c’è stato un tempo in cui il rispetto delle culture diverse garantiva la convivenza pacifica. Una terra, un piccolo spazio nel Medio Oriente tra l’Egitto e la Siria, una storia che si perde nei secoli, un territorio protagonista nelle Sacre Scritture, una fede – il giudaismo – che si ritrova sorella dell’islamismo in virtù della comune discendenza abramitica.

Dalla Torah al Corano non c’è traccia di superiorità o prevaricazione, di violenza e cattiveria, ma l’invito comune all’amore per il prossimo, alla pace tra le genti, al cammino della vita per incarnare le virtù. Il popolo ebraico, popolo eletto dal proprio Dio, è il popolo in cammino per antonomasia, il popolo che ha lasciato la sua terra per intraprendere un percorso per quarant’anni senza conoscere la meta; un popolo che si è fidato ciecamente del proprio Dio e si è spogliato di tutto il superfluo per vivere dell’essenziale, dell’insegnamento di Dio; un popolo che ha lottato contro la schiavitù e l’oppressione prima di raggiungere la terra promessa e liberare con sé simbolicamente l’intera umanità, riscattarla dalla violenza e dalle divisioni per condividere il senso della pace. Ogni cammino è dovizioso di episodi più o meno piacevoli che caratterizza l’identità di una persona, di un popolo che giunto nella terra di Canaan – l’attuale territorio che oggi comprende Libano, Palestina, Siria e Giordania – stabilì le sue radici.

Da ospiti, stranieri, per la loro benevolenza furono accolti come fratelli fino a quando Giuseppe, diventato viceré d’Egitto, chiamò suo padre Giacobbe, soprannominato Israele, ed i suoi fratelli a vivere in Egitto e così riprendere il cammino fondando le dodici tribù d’Israele, ognuna capeggiata da uno dei figli di Giacobbe. Le vicende narrate nei libri sacri a volte non trovano riscontro nella storia, di certo sembra che per molti anni il popolo ebraico abbia vissuto in pace con il popolo arabo, fino a quando per reclutare adepti si è usato il nome della religione per l’istituzione di uno Stato di Israele. Gli ebrei di fede ebraica continuano ancora oggi a non riconoscersi nel movimento sionista che ha un carattere unicamente politico e che vuole imprimere la propria sovranità in una terra, la Palestina, che per la sua natura messianica ha accolto il popolo ebraico. Naturalmente lì dove c’è un conflitto c’è sempre qualcuno che specula, che trae i propri vantaggi, di certo non è a rischio della vita ma sospinge l’una o l’altra fazione e così non si generano le condizioni per un dialogo proficuo, un progetto comune.

I sionisti hanno decretato lo Stato di Israele non richiesto dagli ebrei che vivono la loro religione distaccati dalla politica; gli arabi, nella difesa del loro territorio, non sono riusciti a cogliere la distinzione tra ragioni di fede e ragioni politiche, così al mondo è apparsa una guerra di religione tra ebraismo e Islam e non quella che è una guerra tra estremisti di ambedue le parti, sostenuti dai potenti del mondo che hanno intravisto in quella terra un investimento economico a discapito della vita di molti innocenti. La guerra in atto miete vittime sia tra i musulmani che tra gli ebrei e non in nome della loro religione, che li orienta alla fratellanza umana, piuttosto tra fondamentalisti ebrei, sionisti, e fondamentalisti musulmani, jihadisti, che utilizzano il nome di dio a loro piacimento per distruggere piuttosto che costruire. Come in tutte le guerre ognuno ha le sue verità, di certo da condannare è chi diffonde la cultura dell’odio e della vendetta creando situazioni di discordia e rivendicando la crudeltà per una narrazione del potere che non ha nulla a che vedere con il valore del governare.

Non si tratta più di capire chi ha torto o chi ha ragione, perché nel caos creato nei troppi anni di violenza e devastazione, attacchi a civili e oppressione della libertà, l’unico super partes l’ONU avrebbe dovuto disinnescare le scintille, ma ancora una volta ci si chiede l’utilità di questo organismo senz’anima che ormai sembra non abbia più nulla da dire ai governanti del XXI secolo. Persa la sua autorevolezza, si continua a spargere sangue innocente, in attesa di chi ha maggiori sostenitori e simpatizzanti pronti a rimpinguare le tasche per i rifornimenti di armi e di odio. “Terrorismi ed estremismi alimentano odio violenza e vendetta”, ribadisce il Santo Padre. Serve il coraggio della fraternità per costruire una pace che non sembra essere gradita all’economia mondiale.


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