Politica

LA GUERRA DI GIORGIA

di Giovanni Vasso -

GIORGIA MELONI PREMIER


La dissimulazione è alla base di tutto. Quando si è vicini, scrive Sun Tsu nell’Arte della Guerra, occorre dare l’impressione di essere ancora lontani. E viceversa. L’Europa è un campo di battaglia, diviso com’è tra correnti, fazioni, alleanze che si fanno e disfanno a seconda della proposta sul tavolo. Giorgia Meloni, al termine del consiglio europeo, ostenta fiducia e parla di vittoria. Agitando la bandiera del fondo sovrano in stile Sure (cioè debito comune europeo) per aiutare le imprese, ha ottenuto dai partners europei maggiore flessibilità sui fondi esistenti (e già stanziati), la promessa che l’allentamento della normativa sugli aiuti di Stato sarà limitato e temporaneo e il riconoscimento della strategia di approvvigionamento delle materie prime. La premier, dissimulando, ha raggiunto gli obiettivi veri che aveva nascosto a tutti. In parte, anche all’opinione pubblica. Nella conferenza stampa a conclusione del summit, Meloni ha spiegato: “La proposta italiana era la possibilità di una flessibilità sui fondi esistenti, già stanziati, abbiamo chiesto la possibilità di usare appieno queste risorse per concentrarle sulle priorità che abbiamo. Col tema di limitare e rendere temporanei gli aiuti di Stato, con il tema della flessibilità e della riforma della governance e con la vicenda degli approvvigionamenti strategici la posizione italiana sull’economia è pienamente entrata nelle conclusioni del Consiglio europeo e possiamo esserne soddisfatti”. Il governo italiano, come aveva anticipato il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, ha ottenuto (almeno) di non perdere quelle risorse (leggi Fondo di coesione) e di poterle utilizzare là dove ce n’è bisogno. Anticipando la polemica territoriale e già sentendo le accuse di “ennesimo scippo” ai danni del Sud, Meloni ha chiarito che “non c’è il rischio che le risorse siano tolte alle Regioni del Sud perché non stiamo ragionando sulla modifica della cornice dei fondi di coesione, che saranno destinati dove già lo sono, il problema è concentrarli sulle priorità attuali: competitività delle imprese e transizione ecologica, dando priorità ai territori”. La scelta della flessibilità rappresentava l’obiettivo minimo anche per Confindustria. Al Tg1, il presidente degli industriali Carlo Bonomi, aveva spiegato: “Noi riteniamo che il fattore tempo sia prioritario risposta alla risposta sulla sfida della competitività che ci hanno lanciato Stati Uniti e Cina . E quindi l’unica strada possibile è la riprogrammazione dei fondi del settennato 2014-2020 non ancora spesi, che per l’Italia ammontano a circa il 40% cioè a circa 40 mld che consentirebbero di avere quell’iniezione e stimolo agli investimenti necessari per affrontare la transizione digitale e ambientale”. Già, perché mentre ci si appassiona alla soap opera tra Palazzo Chigi e l’Eliseo, al “grande freddo” sceso tra Meloni e Macron, alle foto da pubblicare e ai fatti da esibire, sull’Ue incombono i rischi che derivano dalle strategie economiche di Pechino e, soprattutto, di Washington che, con l’Inflaction reduction Act, progetta una virata protezionista che rischia di mandare a carte quarantotto i piani economici del Vecchio Continente.
Sul fronte degli aiuti di Stato, Meloni ha rivendicato di essere riuscita a strappare un limite per l’alleggerimento della normativa. Non c’è riuscita da sola. Ma è stato grazie all’alleanza, limitata e temporanea anche questa, con i “frugali” del Nord, Olanda in testa. Al premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, il ritorno in grande stile dell’asse franco-tedesco che rischia di scuotere il mercato unico non è piaciuto affatto. Una telefonata è bastata a saldare un’alleanza che ha avuto successo. O, quantomeno, qualcosa da poter dire in conferenza stampa. Perché, a questo punto, subentra il tema degli approvvigionamenti energetici e su questo fronte l’alleanza italo-olandese non andrà certo lontana dal momento che Amsterdam è pronta a tutto, persino a scappare a Londra, pur di tutelare il Ttf e che Rotterdam non ha la minima intenzione di cedere quote di centralità strategica sulle rotte commerciali. Tuttavia, Meloni ha riferito che il consiglio europeo ha compreso le ragioni della nuova strategia italiana rintracciate nella necessità di differenziare fornitori e interlocutori per evitare, come accaduto quest’anno, che la dipendenza da un unico Stato fornitore straniero (leggi Russia) possa avere impatti devastanti sull’economia di tutti. Chiuso il summit ieri, ci si rivedrà a marzo. Quando saranno prese decisioni vere, almeno stando a quanto scrive e asserisce Charles Michel. Passando dall’antico generale cinese Sun Tsu, amatissimo e riportato in auge dai lupi americani di Wall Street, al più nostrano Niccolò Machiavelli, solo il tempo potrà svelare la verità effettuale della cosa, cioè se le rassicurazioni e gli obiettivi che Meloni rivendica si siano tradotti in realtà.

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