Editoriale

La guerra di Ursula

di Adolfo Spezzaferro -


Fanno tremare i polsi le parole di Ursula von der Leyen (che dovremmo ribattezzare bor der Line). La presidente della Commissione europea ha detto che come abbiamo fatto con il Covid-19 e i vaccini ora, con la minaccia imminente di una guerra (sic!), dobbiamo fare lo stesso con gli armamenti. La massima carica politica dell’Ue evoca la pandemia e i miliardi spesi per i vaccini per chiamare a raccolta i 27 Paesi membri in nome della difesa comune. Un ragionamento che manda in brodo di giuggiole i complottisti, secondo i quali sia la pandemia prima che la guerra nel Donbass dopo rientrano in piani, in macchinazioni di chi governa il mondo sulla pelle del genere umano. Lo stato di emergenza continua (una contraddizione in termini che ormai è diventata normale, la norma), la sensazione di una minaccia onnipresente, la vita durante la crisi sono le leve con cui si decide cosa fare nel cosiddetto Occidente. E se qualcuno prova a dire che non è l’unico modo di vedere il mondo, di affrontare le cose, viene tacciato di anti-occidentalismo, anti-atlantismo. Chi non sta con gli Usa, che guidano la Nato e guidano la Ue, è nemico della democrazia. Una reductio ad unum mortalmente faziosa. I cittadini di questa parte del mondo che prima dominava tutto il resto e ora è uno dei poli del multipolarismo vivono questa condizione di ristrettezze economiche e incertezza indefinita perché c’è la guerra e perché dobbiamo difendere la democrazia.
La verità è che l’Ue dice che dobbiamo armarci di più perché gran parte dell’industria si sta riconvertendo nel settore militare. Nel 2023 la spesa militare degli Stati Ue ha superato i 325 miliardi di euro, mentre nel mondo ha raggiunto i 2.500 miliardi di dollari. Stiamo parlando di spesa pubblica, finanziata con il prelievo fiscale e con il debito. Il risultato? In realtà sono tre: il primo è la sottrazione di risorse ad altri settori a cominciare dalla sanità. Lo stesso che è stato fatto per i vaccini contro il Covid, tra l’altro. Il secondo è il danno ambientale causato dall’industria degli armamenti. Un tema che dovrebbe stare molto a cuore a Bruxelles. E invece ora il mantra è meno green più bombe. Il terzo risultato è il meno palese sebbene il più pericoloso: la rapida esponenziale finanziarizzazione del settore dell’industria militare con una impressionante attrazione di capitali privati. Questo significa che, per effetto delle scommesse speculative, gli investitori sono certi di enormi profitti. Si scommette sulla guerra: il business dei business. Quindi le guerre in giro non debbono concludersi. Perché la pace non è redditizia. Lo è semmai la ricostruzione. Ma adesso è l’ora della guerra, a leggere gli investimenti e le mosse dell’alta finanza, per l’appunto. Meno soldi per la sanità, ancora più crisi economica e impoverimento delle famiglie europee e per cosa? Per il pericolo di una guerra che qualcuno dovrebbe muovere contro l’Europa. La follia. Ma è lucidissima, premeditata e ponderata, come follia.
Quello che è più grave è che – fermo restando che l’Europa, culla della civiltà, dovrebbe volere la pace e non la guerra – la “bor der Line” chiede di investire negli armamenti. Mica di creare un esercito comune europeo. Poveri noi. Sempre più poveri.


Torna alle notizie in home