Esteri

La legge bavaglio del Sultano Erdogan diventato “partner” dell’Occidente

di Martina Melli -

RECEP TAYYIP ERDOGAN


In Turchia è appena passata una vera e propria legge bavaglio voluta dal partito del presidente Erdogan, che perseguita chi diffonde “disinformazione” sui giornali e su Internet.

La legge, passata in Parlamento nella giornata di giovedì, compromette inesorabilmente la libertà d’espressione nel paese, e per questo è stata molto contestata dai partiti di opposizione e da diverse organizzazioni internazionali.

In particolare, è l’articolo 29 a destare maggiore scalpore e preoccupazione: tutti i giornalisti e gli utenti di Internet che pubblichino contenuti che possano «creare paura e turbare l’ordine pubblico» rischiano fino a tre anni di carcere.

Se un tribunale stabilirà che una persona ha diffuso disinformazione come parte di un’organizzazione illegale, poi, la pena detentiva aumenterà del 50%.
Il problema, e la grande astuzia di chi l’ha scritto vien da dire, è come l’articolo non sia né specifico né esplicativo. E’ stato formulato in modo vago per indurre la stampa ad autocensurarsi a scopo preventivo.
“La diffusione di disinformazione di proposito” è ora, per la prima volta in Turchia, un crimine. Chiunque “diffonda pubblicamente false informazioni riguardanti la sicurezza interna ed esterna, l’ordine pubblico e il benessere generale del paese, in un modo che viola la pace pubblica, semplicemente allo scopo di creare ansia, paura o panico tra la popolazione” verrà sanzionato.

Giovedì, durante la discussione, c’è stato grande subbuglio e diverse reazioni di protesta all’interno dell’aula.

La più eclatante quella di Burak Erbay, deputato del Partito Popolare Repubblicano (CHP) – principale partito di opposizione – che ha tirato fuori uno smartphone e ha cominciato a martellarlo per dimostrare come, nel caso in cui la legge fosse passata, possederne uno sarebbe diventato inutile.
Rivolgendosi ai futuri votanti delle elezioni presidenziali del 2023 ha detto:

«Vi rimane solo una libertà: il telefono in tasca. C’è Instagram, YouTube, Facebook. È lì che comunicate. Se la legge passa in parlamento, potete rompere il vostro telefono e buttarlo. Non vi servirà più a nulla».
Molto significativa della linea politica di Erdogan, la sorte di Sibel Hurtas, presidente della sezione di Ankara dell’Unione dei giornalisti della Turchia che stava seguendo il dibattito parlamentare. Mercoledì sera le è arrivato il divieto assoluto di entrare nell’edificio.

“Un divieto d’ingresso per il presidente della filiale di TGS Ankara, Sibel Hurtas, è una decisione molto appropriata considerando la natura della legge sulla censura, il che significa che la pratica è stata legiferata”, ha detto a BIRN Murat Mumtaz Kok, esperto di media e direttore delle comunicazioni e del progetto presso la Media and Law Studies Association, MLSA.
In realtà, i divieti sono iniziati prima che la legge sulla censura fosse promulgata, e molti attivisti l’avevano contestata mentre era ancora al vaglio del parlamento turco.

Tra le ammonizioni e le prese di posizioni internazionali, anche quella della Commissione di Venezia, un organo consultivo del Consiglio d’Europa che vigila sul rispetto dei diritti democratici nel mondo.
La Commissione aveva già sottolineato come la nuova proposta di legge fosse una minaccia per la libertà d’espressione, aggiungendo che Erdogan avrebbe potuto usarla per influenzare la popolazione in vista delle elezioni presidenziali.

La nuova legge contro la “disinformazione” è stata pensata e portata avanti con lo scopo di aumentare il controllo governativo e la censura della stampa e dei social media. Ormai, è da tutti tristemente considerata l’ulteriore tassello verso un regime sempre più autoritario.


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