Editoriale

LA LEZIONE DEGLI ESCLUSI

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Alla fine è bastato un po’ di buonsenso. Un reddito per chi davvero non lavora. Una possibilità di entrare nel mondo dell’impiego. E una cifra che possa essere pronunciata in pubblico senza scatenare la bagarre. Visto che in Italia le pensioni minime di chi ha lavorato una vita sono basse. E non possono essere più basse di chi non lavora a spese dello Stato. Non vogliamo dire che questo provvedimento risolva il problema della povertà, ma certamente interpreta meglio il rapporto tra la povertà di chi lavora e la povertà di chi non lavora. Tradotto in un gergo di sinistra, si chiama equità. L’equità questo lo deve imparare anche il Pd, non è una scienza esatta. E’ un rapporto, molto ballerino, tra quello che noi consideriamo giusto, e cioè il fatto che in Italia, in Europa, nel cosiddetto Occidente nessuno possa essere lasciato solo, con un dialogo costante con chi solo non è ma è incapace di raggiungere l’obiettivo che si era prefisso. Assisteremo a settimane di polemiche politiche sullo smantellamento di un provvedimento, il Reddito di Cittadinanza, che era figlio di un’Italia del tutto diversa da oggi. E la faccia ce l’ha messa Giorgia Meloni. Io non so se la MIA, l’Italia mia, quella che vorrei, quella che tutti noi immaginiamo migliore di oggi, potrà discendere da questa legge ma consiglio alla sinistra di non sottovalutare l’esigenza di chi è povero, benché stia lavorando da una vita intera. Perché n una civiltà democratica la dicotomia ricchezza-povertà forse una volta corrispondeva al binomio lavoratore/disoccupato, m a sappiamo tutti che in questi tempi di guerra l’equazione non ci dà un risultato defnitivo. Di fronte al tema della giustizia sociale, la sinistra deve considerare che per ragioni complesse proprio i suoi mondi più lontani dal benessere hanno smesso da tempo quell’interlocuzione che per decenni era scontata.
In fondo è lo stesso problema che abbiamo con la guerra. Siamo convinti che ci sia solo una strada per risolverla. Ma, con tutto il rispetto per l’Ucraina invasa e pr la resistenza di Kiev, da ormai più di un anno i fatti ci dimostrano che le nostre buone intenzioni non producono gli effetti che promettiamo.
Non sarà tutto questo un cortocircuito democratico che deve spingerci a riflettere sul fatto che davvero nella parte del mondo che ha ancora il diritto di scegliere chi lo governa abbiamo cominciato a raccontarci un sacco di mezze verità. E che il popolo italiano, che in fondo è molto più europeo di chi lo governa, comincia a sentire odore di bugia e a non fidarsi più dei modelli che fino aad oggi ci avevano portato fuori dalla crisi?
Forse viviamo la crisi della crisi. Stiamo cioè camminando lungo un terreno fragile e pericolante, rendendoci conto che le nostre regole secolari non producono più gli effetti a cui ci avevano abituati. Compito di una democrazia è dirselo. E quando la classe dirigente non ha il coraggio di farlo è, Italia Mia, almeno ascoltare i cittadini che, ogni volta che possono, continuano a ripetercelo. E quando hanno smesso di farlo con il voto, hanno cominciato astenendosi. Senza che noi abbiamo compreso che quell’assenza dalle urne ormai ha un senso politico e vale come il consenso.

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