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Politica

La lista Zaia vale nei sondaggi il 43%

di Ivano Tolettini -


Il sondaggio Demos fotografa la peculiarità veneta: la lista Zaia raccoglierebbe il 43% dei consensi, quasi un elettore su due. È un dato che da solo basterebbe a far vincere le Regionali senza l’appoggio di altri partiti. Per assurdo, il governatore uscente potrebbe presentarsi come capolista della sua sigla personale e vincere, ma così facendo spaccherebbe la coalizione di centrodestra di cui è ancora perno. Il punto decisivo, però, è che Luca Zaia non può più ricandidarsi presidente. Allora che peso avrà quella lista se il governatore sarà solo capolista? Il 43% rischia di diluirsi senza la prospettiva della sua guida diretta, ma non abbastanza da non pesare. La forza del marchio “Zaia” non si limita al leader, bensì a una rete politica, amministrativa e sociale che in questi anni ha fatto del Veneto un modello radicato. Il paragone con Puglia e Campania è inevitabile. Lì Michele Emiliano e Vincenzo De Luca hanno costruito sistemi di potere ramificati, in parte clientelari, basati su una gestione pervasiva delle risorse e dei rapporti con i territori. Il modello Zaia, invece, ha un carattere diverso: è più istituzionale, meno personalistico, eppure ugualmente trasversale. Lo dimostra il consenso che arriva anche da elettori di centrosinistra e 5 Stelle. È una fiducia che arriva al 72%, consolidata nella gestione della pandemia e mai davvero scalfita dalle tensioni nazionali. Ed è proprio questa trasversalità a rendere la “Lista Zaia” una variabile potenzialmente destabilizzante per la coalizione. Se restasse dentro il perimetro leghista, fungerebbe da traino e da garanzia di continuità. Il Carroccio spinge per blindare la candidatura del vicesegretario Alberto Stefani, accelerando i tempi in vista di Pontida. Fratelli d’Italia, però, col 37% alle Europee non arretra: Luca De Carlo e Raffaele Speranzon restano i nomi in campo e Giorgia Meloni non intende concedere al partito alleato il Veneto dopo 15 anni di dominio. Il braccio di ferro è destinato a durare ancora, mentre gli altri dossier regionali, Campania e Puglia, rimangono aperti. In Campania, lo schema ricalca quello veneto: da un lato FdI con Edmondo Cirielli, dall’altro Noi Moderati con Mara Carfagna, senza dimenticare i civici Romano e Lorito. In Puglia, FI insiste su Mauro D’Attis contro Antonio Decaro. In entrambi i casi, come in Veneto, il rischio è che la frammentazione interna al centrodestra favorisca gli avversari. Zaia, intanto, continua a giocare una partita parallela. La comparsa del logo personale accanto a quello della Lega nei manifesti di Ciambetti è un segnale eloquente. Il consenso del 43% non è solo un numero, ma un messaggio. Chi vorrà guidare la Regione dovrà fare i conti con questa realtà. FdI e Lega sono di fronte a un bivio: o trovare una sintesi che valorizzi il capitale politico del governatore uscente, o andare a scontrarsi su una candidatura che rischia di logorare la coalizione dall’interno. A ricordarlo è Francesco Filini, responsabile del programma di FdI: “Non c’è pericolo che il centrodestra non trovi la quadra. Come sempre individueremo i nomi migliori anche nelle tre regioni che mancano”. La formula “ben rodata” evocata da Filini, però, appare più fragile che mai. Perché in Veneto il dopo-Zaia è un rebus che intreccia leadership personali, identità locali e rapporti di forza nazionali. E nessun sondaggio potrà sciogliere da solo questo nodo.


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